Il suo amante, l’uomo con cui voleva trascorrere il resto della sua vita, morì nel 1986. Lei fu accusata e condannata in qualità di mandante dell’omicidio dell’uomo. Dal 2013 è libera, è andata a trovarlo al cimitero e continua a professarsi innocente. Katharina Miroslawa, un’ex danzatrice esotica polacca naturalizzata tedesca, ha infatti pagato il suo debito con la giustizia italiana per l’omicidio dell’imprenditore Carlo Mazza. L’uomo era il suo amante: si erano conosciuti in un locale notturno di Modena in cui lei lavorava, e la donna era da subito rimasta ammaliata dal suo fascino e dal garbo che gli aveva meritato nel tempo una rete di affetti profondi.
Mazza trovò la morte nella notte tra l’8 e il 9 febbraio 1986. Fu il figlio a rinvenire il corpo nell’auto ricoperta di neve nel centro di Parma. Mazza, 52 anni all’epoca, aveva iniziato da tempo una relazione con Miroslawa, molto più giovane di lui. L’aveva corteggiata e l’aveva anche spinta a lasciare il lavoro, dandole una quota di denaro ogni mese e una casa in cui abitare a Parma: 2 milioni di lire, che lei devolveva immediatamente al marito Witold Kielbasinski in favore del figlio. A un certo punto Mazza sottoscrive una polizza assicurativa con un premio di un miliardo di lire in favore dell’ex ballerina: per i giudici sarebbe stato questo il movente del delitto. Ma cosa accadde? La storia è al centro della nuova trasmissione di Franca Leosini “Che fine ha fatto Baby Jane?”.
La morte di Carlo Mazza
La mattina del 9 febbraio ’86 il figlio trova Carlo Mazza riverso nella sua automobile. All’inizio si pensa che la morte sia dovuta a cause naturali, ma poi arriva la scoperta choc: l’uomo è stato freddato da proiettili di una pistola calibro 6.35, un’arma molto piccola e compatta, che gli trapassano il cranio.
Ma chi può essere stato a volere la morte dell’imprenditore, che era appunto così amato da tutti? Il dito degli inquirenti viene puntato su Miroslawa e Kielbasinski, che però hanno un alibi: entrambi si trovavano all’estero. “Lui sapeva della nostra relazione - raccontò in un’intervista al Corriere Miroslawa nel 2019 riferendosi al marito prima e poi all’amante - e in un momento di rabbia mi aveva anche detto che se fosse andata avanti avrebbe ucciso me e lui, ma non avevo dato molto peso a quelle parole”. Cosa può essere accaduto?
I processi a carico di Katharina Miroslawa e non solo
Come riporta Scena Criminis, sono diversi i processi relativi a questa vicenda criminosa. La sentenza di primo grado del primo di questi processi arriva 15 maggio 1987: la coppia viene assolta per insufficienza di prove.
Miroslawa a questo punto è libera e cerca di riscuotere il premio, ma l’assicurazione le propone uno “sconto” per non indagare: 600 milioni anziché un miliardo. La donna non accetta: crede che farlo equivalga a un’ammissione di responsabilità, ma chi indaga successivamente è di tutt’altro avviso. E scopre che il 7 febbraio ’86 suo fratello Zbigniew Drozdzik e un amico di origini greche di nome Dimosthenes Dimopoulos avevano noleggiato un’automobile poi riconsegnata la sera di due giorni più tardi: dal contachilometri risultava che la distanza percorsa corrispondeva perfettamente a quella dal punto di partenza a Monaco fino a Parma, e poi da Parma fino ad Amburgo, dove i due uomini avevano riconsegnato la vettura a noleggio.
Nel maggio 1991 il giudice condanna Kielbasinski a 24 anni, e Miroslawa, Drozdzik e Dimopoulos a 21: il marito e il fratello della donna sono riconosciuti come esecutori materiali, mentre il terzo uomo sarebbe stato una sorta di complice e la donna il mandante. Ma nel dicembre successivo la sentenza è annullata in Cassazione. Il giudizio definitivo arriva a giugno 1992: le condanne sono tutte confermate, tranne quella del “greco”, che viene assolto con formula piena. I due coniugi si rendono latitanti, ma vengono arrestati e tradotti in carcere. “Mi sono sentita - ha detto la donna in un’intervista riportata su Il Sussidiario - più che altro che gli uomini si sono fatti gioco di me. Anche tra mio marito e Carlo si saranno pur parlati, io ero lì di mezzo”.
Dopo il carcere è ancora giallo
Miroslawa ha terminato di scontare la sua pena nel 2013 e si è sempre professata innocente. Kielbasinski invece, dapprima si addossò la colpa di essere stato lui il vero mandante, mentre l’esecutore sarebbe stato Dimopoulos, successivamente in un memoriale scrisse di aver ucciso lui Mazza, per propria mano e “per gelosia, non per denaro”.
Oggi Miroslawa si occupa di vino e di informatica. Ha studiato molto e si è reinventata professionalmente in questi anni. Solo una cosa non è mai cambiata: ha sempre detto di non aver nulla a che fare con l’omicidio dell’uomo che aveva amato. “Sono stata una vigliacca - ha detto ancora la donna al Corriere della Sera - nonostante i dubbi, non ho mai voluto sapere cosa successe. Non l’ho mai saputo fino a quando Witold ha confessato, ma ormai era troppo tardi e io ero già stata condannata definitivamente.
[…] Ma io non sono la mandante, non aveva senso uccidere l’uomo con cui volevo vivere. L’ha ucciso Witold, per disperazione. […] Chi sapeva tutto è morto […] ci sarebbe il greco che se parlasse cambierebbero molte cose”. Nel 1992 però i giudici la pensarono diversamente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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