Mette sul Web un romanzo e commuove gli Stati Uniti

Ambientato a Savannah, città di Forrest Gump: "Ci andavo con mia moglie morta tragicamente". Pubblicato per dispetto, adesso èuscito anche in Italia

Mette sul Web un romanzo e commuove gli Stati Uniti

Il terribile pre­sentimento col­se Guido Mat­tioni al giorna­le - questo giorna­le- nella tarda sera­ta del 3 gennaio 2002. La moglie Pa­ola, consulente aziendale di successo che aveva sposa­to nel 1981 ed era gravemente malata da due anni ma non in pericolo immi­nente di vita, non gli rispondeva né al telefono fisso né al cellulare. Il tempo di uscire di corsa dalla redazione, rag­giungere casa e aprire la porta: «Era ri­versa sul pavimento, morta già da due ore, con la gatta accanto a vegliarla. Ti lascio immaginare...». Da grande cro­nista qual è, Mattioni in realtà non ha voluto lasciare niente all’immagina­zione e, trascorso un decennio, ha ri­percorso quella tragedia in «una favola adulta che commuove e fa sorridere». È un romanzo, Ascoltavo le maree , in cui l’io narrante,Alberto Landi,gli asso­miglia troppo per sembrare inventato.
«Per uno strizzacervelli potrebbe esse­re il diario di una lenta elaborazione del lutto»,osserva Toni Capuozzo,vice­direttore del
Tg5 che conduce Terra! .
La storia di questo libro è un roman­zo nel romanzo. Mattioni - che in pas­sato già si era cimentato come ghost writer nella saggistica con I manager si scelgono così (Mondadori), un’auto­biografia del noto «cacciatore di teste» zurighese Egon Zehnder- lo aveva pro­posto a tre grandi editori. I quali l’han­no chi snobbato e chi riempito di lodi, rifugiandosi però nel pretesto del mer­cato editoriale in crisi per non pubbli­carlo. L’autore, caparbio come solo i friulani sanno esserlo (è nato a Udine il 22 agosto 1952), non s’è perso d’ani­mo. L’ha fatto tradurre in inglese e l’ha messo in vendita a 2,99 dollari, col tito­lo Whispering Tides , su Smashwords, il più grande distributore al mondo di e-book, i libri che si leggono su disposi­tivi elettronici portatili. Ciò che è acca­duto dopo, ha sorpreso pure lui: tante copie scaricate a pagamento da Inter­net; massimo punteggio (5 stelle su 5) nella critica dei lettori; recensioni entu­siastiche su Blue Lake Review , rivista letteraria dello Stato di New York, e sui magazine specializzati Southern Writers (Ten­nessee), Black Heart
(Texas) e
Southern Lite­rary Review (Georgia). «Ma la soddisfazione più grande è stata quella di veder adottare Ascoltavo le maree come libro di te­sto alla Ge­orgia State Uni­versity di Atlanta, nei cor­si di lingua italiana tenu­ti dal professor Richard Keatley, e alla Learn Italy school di New York». Un successo che ha destato l’interesse di Francesco Bogliari, fondatore della Media &Co.,editore dell’ Agenda lette­raria , un passato di socio e amministra­tore delegato di Sc­heiwiller e di diretto­re editoriale della divisione libri del So­le 24 Ore e di Sperling & Kupfer, Etas e Millenium. Bogliari ha deciso di inau­gurare il suo marchio Ink con questa prima opera di narrativa. Così, dopo aver commosso gli Stati Uniti, il roman­zo ha fatto ritorno in Italia e oggi si tro­va nelle librerie, oltreché sul Web.
Pur affermando d’aver agito inizial­mente «per dispetto», Mattioni non aveva scelto a caso gli Usa come meta del suo espatrio letterario.
Ascoltavo le maree è infatti ambientato a Savan­nah, città coloniale della Georgia che l’autore frequenta con regolarità. Dal 1998 ne è cittadino onorario. In questo scenario alla Via col vento sono stati ambientati molti film. È sulla panchi­na del bus-stop di una delle 21 piazze di Savannah che Forrest Gump (Tom Hanks) rievoca la sua infanzia di ritar­dato mentale. Ed è a Savannah, città na­tale del compositore Johnny Mercer, che scorre il Moon River cantato da Au­drey Hepburn in Colazione da Tiffany .
Mattioni cominciò ad andare in va­canza a Savannah con la moglie Paola nel 1991. Il colonnello Eugen Doll­mann, l’interprete di Adolf Hitler che aveva soggiornato in Italia, sosteneva che «non bisogna mai tornare dove si è stati felici». Invece il giornalista e scrit­tore vola in Georgia almeno una volta l’anno anche con la se­conda moglie, Maria Ro­sa, oncologa alla clinica San Pio X di Milano, «una siciliana bionda, una nor­manna, più giovane e so­prattutto molto più bella di me, che fa anche un la­voro socialmente molto più utile del mio», cono­sciuta durante una cena con amici. L’ha conqui­stata esibendosi ai fornel­li. «In cucina so fare un po’ tutto, dall’antipasto al dessert. Tiro la sfoglia, impasto il pa­ne. La mia specialità è la millefoglie di pescatrice. Da bambino stavo ore e ore a guardare mia nonna Ester che fa­ceva da mangiare sulla cucina econo­mica a legna. Vorrei rinascere chef».
Figlio di un commerciante di vini e nipote di Antonio Mattioni, il vulcani­co ingegnere di Cividale del Friuli che inventò il primo aereo a reazione, il ne­oromanziere fu assunto al Giornale da Indro Montanelli nel 1978. Ha poi lavo­rato a
Epoca , Espansione e Gente Mo­ney , ricoprendo tutti i ruoli, da redatto­re a vicedirettore. Nel 2000 tornò al
Giornale ,
dov’è stato caporedattore dell’economia e inviato. In pensione dal 2011, oggi è editorialista del quoti­diano online Lettera 43 e collabora col mensile Prima Comunicazione .
Perché i giornalisti, persino da pen­sionati, non smettono di scrivere?
«Abbiamo la fortuna di poter lavorare solo con la testa. Finché funziona quel­la... Guarda Mario Cervi: ha compiuto 92 anni lunedì scorso e scrive come un trentenne, anzi meglio».
Tu da chi hai imparato a scrivere?
«Da mia madre, insegnante d’italia­no. I suoi biglietti natalizi erano ro­manzi brevi. A 6 anni già sbirciavo la
Divina Commedia illustrata da Gusta­ve Doré, tant’è che faccio risalire a quell’imprinting la mia avversione per il calcio: so tutto delle terzine e nul­la dei terzini. A 10 avevo già divorato Uomini e topi di John Steinbeck. Si può scrivere bene solo se si è letto bene».
Come arrivasti al
Giornale ?
«È triste dirlo: grazie al terremoto che nel 1976 devastò il Friuli. Studiavo giuri­sprudenza a Trieste, scribacchiavo su periodici locali. Dopo il sisma, andai a Gemona, il paese di mia madre raso al suolo. Lì conobbi Egisto Corradi e Gian­ni Moncini, leggendari inviati speciali del Giornale . Li portavo in giro fra le ma­cerie con la mia auto. Mi fecero nomi­nare corrispondente. Di Corradi si sa tutto. Ma Moncini, morto a 59 anni, è stato ingiustamente dimenticato».
Hai ragione.
«Straordinario cronista di nera. Riuscì a parlare per 45 minuti con Renato Cur­cio appena catturato. Alla fine il capo delle Brigate rosse gli chiese: “Ma lei per quale testata lavora?”. “
Il Giorna­le ” , rispose Moncini.E il terrorista: “Mi saluti Montanelli, un nemico coraggio­so, che rispetto”. Lo scoop provocò un travaso di bile a Piero Ottone, direttore del Corriere della Sera , dal quale sia In­dro che Gianni erano fuoriusciti».
Il tuo modello chi era?
«E me lo chiedi? Montanelli. Entravi a portare i bozzoni delle pagine nel suo ufficio e ci trovavi Luigi Barzini junior, Guido Piovene, Enzo Bettiza. Leggen­de viventi. Ti sentivi parte della storia».
L’infatuazione per gli Usa da dove nasce?
«Dai film con John Wayne che, quan­d’ero bambino, mio padre mi portava a vedere al Dopolavoro ferroviario di Udine. E dai racconti di mia madre. Da giovane visse a Gorizia il dramma delle foibe. Un giorno udì uno scalpiccìo pro­venire dalla strada. Sbirciò attraverso le persiane chiuse e vide i soldati ameri­cani liberatori che avanzavano cantan­do Lili Marleen . Il mio primo viaggio negli Stati Uniti coincise con quello di nozze, ottobre 1981: New York e New England. Nel 1984, a 40 anni dallo sbar­co in Normandia, Epoca mi mandò nei
luoghi della battaglia. Vedendo le 9.387 croci di marmo bianco dei giova­ni americani caduti a Omaha Beach per affrancarci dalla follia hitleriana, capii che sarei stato per sempre dalla lo­ro parte, qualunque cosa fosse accadu­ta. Pur con tutti i difetti che ha e che conosco a uno a uno, guai a chi mi tocca l’America».
Perché hai eletto pro­prio Savannah a tuo se­condo domicilio?
«Al congresso di una mul­tinazionale, la mia prima moglie aveva conosciuto Ron, un italo-americano che abitava lì, sposato con Vicki, fioraia neoze­landese. Fummo invita­ti. Il mese successivo era­vamo là.
Vicki diventò come una sorel­la per Paola. Ora lo è di Maria Rosa. Do­po la perdita di mia moglie e dei miei genitori, lei e gli altri amici di Savan­nah sono diventati la mia famiglia. Mi hanno guarito. Sono loro i coprotago­nisti del romanzo. È a Savannah che Al­berto Landi si rifugia dopo aver molla­to tutto e venduto la casa di Milano. Va a vivere dove si praticano la religione del ricordo e il culto dell’amicizia».
Che fai tutto il giorno a Savannah?
«La vita che fanno i savannahiani. È una città di canali d’acqua mista, dol­ce e salata. Ci peschi i blue
crabs , gran­chi enormi dalle carni delicatissime. Ogni sei ore arriva la marea. Landi sco­pre a Savannah una matematica cer­tezza, che nessun politico, monarca o dittatore riuscirà mai a scalfire: è la na­tura che detta il ritmo del mondo. Non puoi comandare le maree. Devi accon­tentarti di ascoltarle. O di tuffarti nella nursery dei delfini, la caletta dove ti ri­trovi circondato da decine di piccoli. Le femmine di delfino che hanno appe­na p­artorito possono diventare perico­lose. In quella baia scacciano gli intru­si percepiti come ostili e fanno le feste agli ospiti graditi. A un’amica di Vicki, che si credeva sterile, strusciavano de­licatamente la pancia. Era incinta sen­za saperlo, poi le è nato un figlio. Solo i delfini, col loro sonar, avevano perce­pito la vita in arrivo».
Come si sopravvive alla perdita del coniuge? «Non basta Savannah. Entravo in reda­zione alle 11 e ne uscivo all’una di not­te. Siamo dei privilegiati. Il lavoro è sta­to una grande medicina».
Ma a un giornalista impegnato a far bene il proprio mestiere avanza del tempo per scrivere romanzi? «Magari saggi. Romanzi no. E come fai? Vivi con la valigia al piede. Ho do­vuto aspettare la pensione».
Quanto hai speso per autopubbli­carti l’e-book?
«Nulla. Formatti il testo, pigi un botto­ne e un secondo dopo è online. La piat­taforma che lo ospita si trattiene un 10% sul prezzo di copertina e ti versa an­che le tasse negli Usa. Diventi autore ed editore. Puoi togliere, correggere, aggiornare, ampliare in ogni istante la tua opera. Ci sono scrittori che supera­no come ridere i 500.000 download».
Copie vendute.
«Esatto. John Locke, Amanda Hocking e Barbara Freethy viaggiano intorno ai 2 milioni».
Credi più al libro digitale che a quel­lo su carta? «Credo a tutti e due. È un errore consi­derarli antitetici, anziché sinergici. Ne­gli Usa gli e-book rappresentano il 35%del mercato editoriale,in Italia ap­pena l’ 1,5, ma sono destinati a cresce­re. Fanno da traino ai libri tradizionali, intercettano nuove fasce di lettori: i giovani, gli ipovedenti che possono in­grandire i caratteri a loro piacimento, i residenti in località isolate, i disabili e i malati che non praticano le librerie».
Al selfpublisher , dice lo scrittore di e-book Ben Arogundade, un solo romanzo non basta: deve sfornar­ne almeno quattro all’anno. «Non sarà mai il mio caso. Ho voluto solo togliermi lo sfizio di sfidare l’edito­ria imperniata sulle consorterie dei premi letterari, che nel nostro Paese sono guastati da pastette peggiori dei congressi della defunta Dc. Sono stato proclamato fra i cinque finalisti dei Global e-book awards e degli Usa best book awards, unico italiano su oltre 2.000 scrittori seleziona­ti in tutto il mondo da una giuria popolare ano­nima ».
Però alla fine Whispe­ring Tides è diventato Ascoltavo le maree ed è finito su carta.
«Per caso. Francesco Bo­gliari ne ha letto un capi­tolo
su Facebook e mi ha telefonato: “Non sapevo che fossi anche roman­ziere. Portami subito il manoscritto italiano”. Dopo qualche giorno me ne ha chiesto un’altra copia:la prima era stata seque­strata da sua moglie Rosamaria, che non voleva più ridargliela».
Ma che cosa ti dà l’America che l’Ita­lia non possa offrirti?

«Lo spazio infinito. Là il cielo è più gran­de, l’orizzonte è più esteso. E poi non c’è Paese al mondo dove la bandiera sia più venerata che negli Usa, la trovi in ogni casa.

Eppure, se la bruci per stra­da, non ti arrestano né ti denunciano: è un tuo diritto farlo, una manifestazio­ne del pensiero. Solo in America provi la sensazione fisica della libertà».
(642. Continua)



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