“Imby” è l’acronimo di “In my backyard” (nel mio cortile). La soluzione perfetta per chi non se la sente di accogliere un migrante a casa propria o, come ha fatto il professore trevigiano Antonio Calò, di fare fagotto e trasformare le mura domestiche in un centro di accoglienza. Cosa significa? Che, da oggi, l’accoglienza diffusa ha un nuovo alleato. Si tratta di un’eco-casetta assemblabile, economica e facilissima da montare. Al suo interno non manca nulla: cucina, bagno, l’angolo notte e uno spazio da utilizzare come soggiorno o sala da pranzo.
È stata presentata alla kermesse dell’innovazione “Maker Faire” di Roma, ma arriva dalla Spagna. La paternità dell’idea è di un team franco-ispanico di giovani architetti con una forte vocazione per il sociale. Uno dei suoi ideatori, il trentunenne spagnolo Ricardo Mayor Loque, spiega che il progetto “si basa sulla voglia di ospitalità che sta sorgendo in Europa”. “Alcuni anni fa - prosegue - un’organizzazione francese ha aperto una call per chi volesse mettersi a disposizione per accogliere dei migranti: in un giorno sono arrivate 4mila chiamate da 4mila persone che volevano offrire i loro spazi, i loro giardini, per accogliere”.
Già premiato alla Biennale di Venezia di due anni fa, “Imby” sbarca nella Capitale in un momento delicato. L’amministrazione grillina sembra determinata a ridisegnare il sistema di accoglienza capitolino, spalmando la presenza dei migranti in maniera omogenea su tutto il territorio. In quest’ottica, l’assessore ai Servizi sociali Laura Baldassarre ha ventilato l’ipotesi di offrire mille euro al mese alle famiglie romane che daranno ospitalità a un rifugiato. Ma, per ora, quella della Baldassarre è solo un’ipotesi ancora da vagliare e, nel Belpaese, questo sistema di accoglienza diffusa non ha ancora attecchito. Forse, però, la possibilità di ospitare i migranti al di fuori delle mura domestiche, relegandoli in una dependance allestita in giardino, potrebbe aiutare a vincere le resistenze.
In fin dei conti, non molto lontano da qui, “Imby” è già realtà. Il primo prototipo è stato consegnato a Sadeq, rifugiato afghano che vive a Parigi, nell’orto (chissà se biologico) di Charlotte e Dominique.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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