Cronache

"Il mio aborto clandestino, un lutto che fa ancora male

A 40 anni dall'approvazione della legge 194 una donna a cui è stato praticato l'aborto a 16 anni, oggi dice: "Un figlio non limita la vita di una donna, ma la arricchisce”

"Il mio aborto clandestino, un lutto che fa ancora male

“Non si guarisce dalla ferita dell’aborto, si può imparare a conviverci ma non si guarisce mai definitivamente”. Lei è Monica, nome di fantasia di una donna che, con la voce rotta dall’emozione, ci racconta del suo aborto al quinto mese di gravidanza (guarda il video).

La prima storia d'amore, Monica scopre di essere incinta

“Sono cresciuta in una famiglia all’antica, soprattutto nella sfera della sessualità. Giocavo ancora con le bambole mentre le mie amiche raccontavano di ragazzi e feste a casa, cose che per me erano impensabili”, ammette Monica che all’epoca aveva soltanto 16 anni. Un’età in cui arriva il primo barlume di libertà: finalmente ha il permesso di andare da sola da casa alla chiesa del quartiere. Un percorso di soli 800 metri. Tanto basta per farle incontrare “quello che divenne il padre del mio bambino”. Un meccanico più grande di lei di 10 anni di cui si innamora perdutamente. Pian piano, passa sempre meno tempo in chiesa per passare più tempo con lui. “Per la prima volta ho iniziato a provare sensazioni nuove che sapevo di dover tenere nascoste ai miei genitori, ma non coglievo il sesso come qualcosa di sporco”, ci dice, rivelando la sua ingenuità.

Improvvisamente Monica si accorge di non avere più il ciclo e che il suo corpo stava cambiando tanto che “papà si accorse che stavo ingrassando e mi disse di modificare le mie abitudini alimentari”. La scoperta della verità arriva solo quando si confida con un’amica che le consiglia di fare il test di gravidanza. “Ero felice, amavo il mio ragazzo ed ero convinta che un bimbo fosse solo una bella notizia e che l’unica difficoltà sarebbe stata dirlo ai miei genitori”, spiega Monica che decide di mantenere la notizia segreta per tutta l’estate.

“A settembre ne parlai col mio ragazzo ma lui mi disse: ‘Non sono stato io’”. Una vera pugnalata al cuore della sedicenne che, sperduta e impaurita, comincia a vagare per le vie del quartiere finché non entra in una tabaccheria. Da qui chiama, con il telefono a gettoni, a casa del suo ragazzo e dall’altro capo della cornetta trova la madre di lui che la calunnia: “Mi disse che ero una poco di buono e che non dovevo più cercare suo figlio”. A quel punto il tabaccaio, che stava per chiudere, decide di avvertire i genitori di Monica e di raccontar loro tutto ciò che era successo a sua figlia. “Papà volle incontrare subito quel ragazzo che ribadì di non essere il padre di quel bambino ma che era comunque disposto a sposarmi”, racconta Monica. “Mio padre gli disse di non farsi più vedere”.

Villa Gina, la clinica degli aborti clandestini

È così che si ritrova nello studio di un ginecologo obiettore. Lui non ne vuole sapere di farla abortire, ma consiglia ai suoi genitori di portare la ragazza a Villa Gina, conosciuta a Roma come la clinica degli aborti clandestini. Ora questa clinica non esiste più e i suoi proprietari, gli Spalloni, nel 2002, sono stati condannati. “Dalle carte del processo sono emersi tutti gli orrori commessi lì dentro, nonostante la legge 194 fosse già in vigore”, dice con rabbia. Ora, ha 53 anni, ma porta ancora con sé ancora il dolore di quei momenti: “Se dovessi dare un colore all’aborto, sarebbe il verde: verde come il camice delle infermiere che scherzavano mentre io ero in lacrime, verde come la sala operatoria, verde come il camice del medico”. “Gli aborti li facevano di notte, anche per questo non sopporto il buio e ancora oggi dormo con la luce accesa”, confessa.

"Ecco come ho superato la sindrome post-abortiva"

Una volta tornata a casa Monica piomba in una sindrome post-abortiva: “Ho tentato il suicidio, mi sentivo inadeguata, non all’altezza, non mi sentivo degna dell’amore dei miei genitori e di Dio”. “Vivevo una solitudine profonda, ero sola nel mio dolore”, aggiunge. A nulla serve la decisione del padre di cambiare casa e quartiere. Voleva soltanto capire “cosa le avessero fatto e perché”.

Per elaborare il lutto ci vogliono anni. “Ho iniziato un percorso personale molto lungo e alla fine sono riuscita a metabolizzare quello che mi era accaduto”. Ora che di figli ne ha quattro Monica è impegnata a dare speranza e supporto a tante donne che hanno avuto la sua stessa esperienza.

“È difficile trovare le parole per spiegare ad una ragazza di sedici anni che la sua vita non finirà con la nascita di un bambino, ma questa è la verità”, spiega Monica, che ora è convinta che “un figlio non limita la vita di una donna, ma la arricchisce”.

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