Il musulmano Badar diventa carabiniere. Macché Paese razzista questa è integrazione

Il 23enne, di origine marocchine, ha giurato fedeltà all'Arma e alla Repubblica

Il musulmano Badar diventa carabiniere. Macché Paese razzista questa è integrazione

Questa non è una barzelletta sui carabinieri. Questa è una storia vera, bella fresca, materiale che serve per guardare il sole senza restarne accecati. Lui si chiama Badar Eddine Mennani, dai documenti si intuisce che le generalità non appartengano, per araldica, a un italiano al cento per cento. Ma non è un problema, perché il suddetto Badar è nato a Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta, da genitori marocchini, di religione musulmana, di riti e abitudini relative. Ma Badar, che oggi conta anni ventitré, sin da bambino era affascinato non dai dribbling di calciatori o dalle canzoni di rapper o melodici, del Paese suo o nostro. No, gli piaceva l'uniforme dei carabinieri, la divisa ufficiale dell'Arma, cappello con pennacchio turchino, sciabola, spalline, fregi vari, bandoliera. Quei ragazzi usi ad obbedir tacendo e nei secoli fedeli, erano il suo sogno, dovevano diventare la sua stazione di arrivo. Così è stato. Senza bisogno di leggi e regolamenti, senza muri ideologici e ostacoli religiosi, alla voce «integrazione», il suo dovere è quello di servire la Patria che lo ospita, lo ius è compreso nel prezzo, non abbisogna d'altro, non servono battaglie politiche, semmai un comportamento civile, dunque il rispetto delle regole vigenti, dunque gli studi, non tradendo le proprie origini ma seguendo le norme della terra che ha accolto la sua famiglia e gli ha dato la nascita.

Cinque anni fa i Mennani, da Santa Maria Capua Vetere si sono trasferiti a Chiuduno, dunque Bergamo, dunque la zona «leghizzata» doc ma questa sarebbe polvere per molestare la vista e il cervello, nulla di tutto ciò, un trasloco per trovare lavoro e Badar ha finalmente potuto realizzare il sogno, alla caserma Cernaia di Torino, affollata di parenti e fidanzate, commossi e orgogliosi davanti a quello schieramento, perfetto, di trecentonovantasette allievi: «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio Stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni». Parole semplici eppure profondissime, doveri, oltre ai diritti. Così, Badar ha giurato al cielo, infine azzurro di Torino, prima che partissero le note dell'Inno di Mameli, tra lacrime e fotografie.

Bello no? Normale, dico, come è normale che la madre di Badar, con l'hijab, il foulard azzurro a coprire il collo e i capelli, abbia sistemato gli alamari sull'uniforme del figlio. Perché molto è cambiato e tutto può e deve rimanere come prima, usi e costumi però «integrati» nella cultura italiana, senza imposizione ma con educazione.

Normale no? Come è normale che due anni fa, tale Manraj Singh risultasse il migliore al corso formativo degli allievi carabinieri dedicato alla memoria della medaglia d'oro al valor militare del carabiniere Vittorio Tassi. Manraj è nato ad Anzio ma la sua famiglia si trasferì in Italia da Ludhiana, nello Stato indiano del Punjab e ora vive a San Donà di Piave.

La non notizia diventa, dunque, una notizia, il migrante è residente, anzi è servitore della Patria, fedele e obbediente, non certamente suddito o schiavo, non

sicuramente scaricato da scafisti o pilotato da organizzazioni, sindacati e partiti, però è sbarcato su un'isola che non è del tesoro né, per fortuna, dei famosi ma ha realizzato i suoi sogni. Italiano, cittadino e carabiniere.

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