Nel tempio del tatuaggio dove si riscoprono i simboli tribali

A Milano, nello studio di Claudio Pittan, rivive l'antica arte del tatuaggio. Lo stile giapponese e i simboli delle isole del Pacifico tornano attuali con grande maestria

Nel tempio del tatuaggio dove si riscoprono i simboli tribali

Tatau. Ta-tau. Il ritmo del tatuaggio rimbalza sulla pelle: incide la carne e lascia traccia nella storia. Simboli tribali che a Milano rivivono nello studio di Claudio Pittan, un tempio che ha riscoperto l'arte millenaria del tatuaggio facendola rivivere in tutte le sue innumerevoli sfaccettature (guarda il video). Nel negozio di Milano, dove tra le pareti nere fiammanti lavora uno dei più richiesti tatuatori d'Italia e d'Europa, Sonia Giottoli ha ricreato un piccolo museo di reperti che riportano alla luce un lontano passato. In una bacheca di vetro posta all'ingresso si possono ammirare orecchini del Borneo e del Triangolo d'Oro, bacchette hari con cui i maestri giapponesi "inserivano inchiostro nero" (irezumi), collane indiane fatte con le vertebre di serpente e labret degli esquimesi che per duemila anni sono rimasti conservati sotto i ghiacci. Segni tangibili di un'evidenza che non sempre la nostra società riesce ad accettare: da sempre l'uomo ha cercato di modificare la realtà corporea con tatuaggi o piercing.

Da trent'anni Pittan è sulla scena e i suoi tatuaggi giapponesi sono una novità nel panorama internazionale. Per ben due volte è stato premiato quale migliore tatuatore d'Italia e i riconoscimenti gli sono arrivati dalle principali fiere del Vecchio Continente. "L'evoluzione del mio stile – ci racconta – è stata continua. Ho sempre cercato di migliorare nel disegno, ma soprattutto ho sempre cercato di capire il significato dei tatuaggi che faccio". Oggi per avere un suo disegno sulla pelle bisogna mettersi in coda e avere pazienza, ma quando arriva il momento e si varca l'ingresso del suo studio di via Vetere si spalanca un mondo arcaico. A far da sottofondo è il persistente brusio delle macchinette che incidono la pelle dei clienti. Pittan, che dopo essersi fatto incidere la schiena da Horiyoshi III con la tecnica tebori (scolpire a mano), si è specializzato nell'arte del tatuaggio giapponese. Sul suo lettino prendono vita draghi, demoni, samurai e principesse (guarda il video). Per terminarli, come spesso accade, servono diverse sedute durante le quali nasce un rapporto di confidenza tra il tatuatore e il tatuato (guarda la gallery). "Un rapporto molto stretto – spiega Pittan – che, in alcuni casi, può sfociare in una duratura amicizia".

A dividere lo studio con Pittan c'è appunto la Giottoli che, dopo aver lavorato a stretto contatto con il samoano Paolo Sulu'Ape conosciuto durante una convention a Bologna più di vent'anni fa, si è specializzata nell'arte del tatuaggio tribale dei popoli che vivono nel Pacifico. È lì che ha imparato la simbologia del martellante picchiettio ta-tau che oggi le macchinette a elettrocalamita non sanno più riprodurre ma che ripercorrono con estrema eleganza un rituale fatto di simboli e significati che si conservano ancora oggi. E così, in un sapiente lavoro di simmetria, riprendono vita le tradizionali creature del tatuaggio delle varie culture del Pacifico. Sfogliando i lavori fatti in questi anni ecco che i disegni si alternano alle geometrie tahitiane. Queste ultime hanno un fascino senza precedenti (guarda la gallery). I tiki, per esempio, sono guardiani che proteggono chi se li fa tatuare dalla propria parte oscura. Sono una sorta di "bilanciatori" di energia. E ancora: le lucertole che simboleggiano le messi e i frutti della terra, il dente di pescecane dio dei mari, la tartaruga che tutela la fertilità, la conchiglia sacra sulla quale vengono date le offerte agli dei. E, infine, ci sono i mathai, occhi che aumentano la percezione visiva.

In tutti i disegni della Giottoli emerge una continua ricerca ad andare a fondo nella storia del tatuaggio. Perché, come si può vedere sulla mummia Otzy, già nel 3mila avanti Cristo l'uomo ha provato a modificare il proprio aspetto esteriore.

D'altra parte, come spiegano gli stessi sociologi, una delle prime reazioni istintive dei bambini è prendere un pennarello o un pastello e colorarsi il volto, le braccia o le gambe. Il tatuaggio è, insomma, qualcosa di ancestrale che ognuno di noi ha dentro di sé. Deve solo permettergli di uscire allo scoperto.

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