Torino si muove e mette al gabbio diciannove delinquenti spacciati per tifosi. Ricattatori, evasori fiscali, mercanti anche di droga, è il meraviglioso pubblico celebrato da alcuni fogli, dagli stessi calciatori, complici o sotto minaccia, da alcuni dirigenti costretti a non denunciare estorsioni e pressioni. La criminalità trova spazio tra le tifoserie, le organizza, le protegge, le nutre per arrivare all'obiettivo: impossessarsi del mercato dei biglietti e dello spaccio, parallelo a quello delle scommesse clandestine, per fare ciò ricorre a qualunque mezzo coercitivo, fisico e psicologico. Dopo essere stata costretta a un iniziale accordo, la Juventus, già sotto indagine (abbastanza goffa, nelle intercettazioni imbarazzanti del procuratore Pecoraro) e punita dal tribunale sportivo della federcalcio, nella figura del suo presidente Andrea Agnelli, ha finalmente deciso di denunciare, di smascherare i black bloc del tifo bianconero e l'arresto di diciannove di questi è un primo tentativo di bonificare l'Allianz di Torino. La risposta dei soliti noti è arrivata puntuale con l'esposizione di uno striscione La curva nord è morta. La curva nord dello stadio è malata di cancro ed è giusta la scomparsa dei suoi inquilini facinorosi per lasciare il posto, nel vero senso, a cittadini tifosi normali. Ma resta l'impressione, o qualcosa di più sostanzioso, che, ancora una volta, la giustizia a Torino abbia tempi e reazioni diversi, se non opposti a quelle delle altre procure italiane. Fu così ai tempi dell'inchiesta sul doping avviata da Guariniello, un giudice solo al comando contro l'unico club di serie A, sotto inchiesta per uso e abuso di sostanze dopanti. Gli interrogatori, alcuni con la partecipazione spettacolare di calciatori, famosi e non più, del nostro campionato. Nessun'altra procura delle altre città aprì analoghe indagini pur essendo, il fenomeno, comune a molti atleti, stando all'intervista rilasciata da Zdenek Zeman a Gianni Perrelli dell'Espresso. Oggi come allora Torino scende in campo mentre in altre città continua il silenzio dei giudici. L'omicidio di «Diabolik», il tifoso laziale, colpito a morte, ha confermato l'esistenza di un drammatico fenomeno criminale nelle tifoserie della capitale collegate ad altre, così la Nord nerazzurra di San Siro ha onorato «Diabolik» con cori e striscioni durante Inter-Lecce, stessi onori a Parma, a Sofia con gli affranti ultras del Levski, gli ultras del Real Madrid, del West Ham, una tribù sparsa in Europa. Claudio Lotito, un anno fa, sollevò il problema chiedendo di applicare l'arresto e la massima pena nei confronti dei delinquenti che continuavano a ricattare lui e il club. Altri episodi, accoltellamenti, furti, rapine nei confronti di calciatori e dirigenti, hanno macchiato Napoli, Roma, Firenze e ancora altre squadre e già prevedo distinguo e reazioni scorbutiche di chi si ritiene estraneo a qualunque atto, complicità o atto violento. Quando Rosi Bindi, in qualità di presidente della commissione parlamentare antimafia, trattando la vicenda del bagarinaggio dei tifosi juventini, denunciò la collusione tra la criminalità organizzata e il mondo del calcio, ci si augurava che le sue parole fossero l'avvio di nuove inchieste nei confronti degli altri club. Così non è stato o così non sembra.
A meno che le procure siano sicure di escludere qualunque contatto tra le squadre cittadine e la criminalità. Questo nasconderebbe il timore, la complicità o l'omertà degli inquirenti. Ma è un'ipotesi impossibile. O no?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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