Il giallo più difficile da risolvere per il dottor Watson era proprio il dottor Watson. Nemmeno Sherlock Holmes era riuscito a venirne a capo. Perché il dottor Watson non era quello che diceva di essere. Il dottor Watson era un’insospettabile, un uomo molto potente, l’uomo più importante d’Inghilterra, l’uomo che aveva vinto la Seconda guerra mondiale. E lui, forse, non era né l’uno, né l’altro. Ma forse, per capire chi fosse veramente il dottor Watson, è meglio partire dall’inizio.
Quando Winston Churchill entra nella Camera dei Comuni il 4 giugno 1940 ha molto da dire, brutte notizie da dare e tutti contro. Gli inglesi hanno appena evitato con un miracolo che 400mila soldati in fuga, cioè tutto l’esercito di Sua Maestà, fosse raso al suolo a Dunkerque, riportando a casa quegli uomini disarmati con tutte le imbarcazioni civili disponibili. Ma è una vittoria di Pirro. I nazisti hanno in mano l’Europa, gli americani non sono ancora entrati in guerra, gli alleati sono in rotta e Churchill, al potere da nemmeno un mese, deve preparare il suo popolo alla caduta della Francia e a giorni durissimi. Spiega il disastro militare, prevede un’invasione tedesca, racconta una solitudine, la solitudine di un Paese di fronte a un nemico invincibile, mentre tutti gli altri cadono. È uno dei discorsi più leggendari della Storia, l’orgoglio di un Paese che non si piega prima che una dichiarazione di guerra, il discorso che cambia il destino del mondo: «Combatteremo in Francia, combatteremo nei mari e negli oceani, difenderemo la nostra isola a qualunque costo, combatteremo sulle spiagge, nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline, noi non ci arrenderemo mai. E conquisteremo la vittoria: la vittoria a tutti i costi, la vittoria nonostante tutto, la vittoria per quanto lunga e difficile possa essere la strada ». Nell’aula si scatena l’entusiasmo patriottico, il primo ministro esce sotto una pioggia di foglietti bianchi che volano per aria, molti laburisti piangono. «Ha mobilitato la lingua inglese e l’ha spedita in battaglia » commenta il visconte di Halifax, suo ministro e avversario. Sir Harold Nicolson scrive alla moglie Vita: «Winston ha pronunciato il miglior discorso che io abbia mai sentito in vita mia». È l’inizio della riscossa.
Ma è un discorso che il popolo non ascolta. Non ci sono microfoni collegati alla radio alla Camera dei Comuni, non c’è nessuno, a parte i parlamentari presenti, che sente quella trascinante chiamata alle armi. Churchill poi odia il microfono, non vuole ripetere i suoi discorsi e non c’è tempo per queste cose. Ma il popolo deve sapere, il popolo è l’arma del Paese. Bisogna fare qualcosa, bisogna fare presto.
Norman Shelley, quel giorno di giugno di ottant’anni fa, sta per arruolarsi come pilota di traghetto a supporto del trasporto aereo. Lo dice alla moglie Monica, sarà lei a spiegarlo al piccolo Anthony nel caso non tornasse più. Ha 37 anni, ventinove meno di Churchill e potrebbe essere suo figlio. Suo padre invece, quello vero, Frank Shelley, è un pittore. Da bambino Norman sognava di progettare automobili, ma a sedici anni sale su un palcoscenico e non scende più. Lavora alla Bbc da 14 anni, si è fatto le ossa in Australia e Nuova Zelanda, e i più piccini lo adorano perché è lui alla radio a dare la voce a Winnie- the-Pooh, l’orsetto più amato delle favole, nel programma «L’ora dei bambini». La voce di Norman in effetti è come un pianoforte, basta toccare tasti diversi ed è tutta un’altra musica. Sembra sia sensazionale soprattutto quando imita quella di Churchill, roca, impastata, con la zeppola, a volte un po' stridula. Nessuno saprebbe riconoscere l’una dall’altra, quella vera da quella falsa. I colleghi alla radio ridono quando la fa, davanti alla macchinetta del caffè. Quella sera si stupisce quando la Bbc lo convoca d’urgenza per comunicazioni importanti e segretissime. Non si fa domande e ci va. Poi per anni nessuno gli fa più domande e a certe domande lui non risponde mai. Cinque anni dopo quel discorso Churchill è l’eroe che ha vinto la guerra, il potente di Yalta che decide il futuro del mondo seduto tra Roosevelt e Stalin. Anche Shelley diventa popolarissimo ma in tv nel ruolo del dottor Watson, in una serie senza fine che comincia nell’ottobre del 1952 e finisce nel luglio 1969. La storia finirebbe qui se non ci fosse qualcosa che non quadra. Qualcosa che nessuno ha mai raccontato.
Un disco di quelli di una volta, un vinile a 78 giri ritrovato tra le cose polverose nella soffitta della villa di Shelley a Chepstow, nel Galles del Sud, rivela un retroscena sconcertante. Sull’etichetta c’è scritto: «BBC, Churchill: Speech. Artist Norman Shelley, 7 settembre 1942». Lo ascoltano: «…combatteremo nei mari e negli oceani, difenderemo la nostra isola a qualunque costo…»
Robert Parker, il super esperto del suono australiano a cui viene affidata la perizia insieme ai più sofisticati strumenti dell’elettronica non ha dubbi: quella voce non è di Winston Churchill ma di Norman Shelley. Quel «conquisteremo la vittoria per quanto lunga e difficile possa essere la strada» che trascinò un popolo incatenato alla radio erano le parole di un attore della Bbc, il Dottor Watson appunto. Dieci anni prima la Sensimetrics, aveva testato venti dei discorsi ufficiali di Churchill pubblicati da Decca ed EMI e aveva scoperto che tre non erano uguali agli altri: oltre al discorso di Dunkerque c’era anche quello che prometteva «sangue, fatica, lacrime e sudore…». Scrive David Irving nella sua «Churchill's War»: «Quella sera la Bbc ha trasmesso il suo discorso dopo il notiziario. Tutta la nazione era elettrizzata, non sapendo che Churchill si era rifiutato di ripeterlo davanti al microfono. Un attore della Bbc Norman Shelley aveva accettato di imitare il primo ministro alla radio. E nessuna scelta poteva essere più azzeccata ». L'ex produttore e conduttore radiofonico della Bbc, Trevor Hill, rivela che Shelley «ha sostituito Churchill anche quando era malato o fuori dal Paese. Era impossibile notare la differenza». Il figlio Anthony, che ha trovato il 78 giri, spiega: «Per mio padre Winston era un eroe, non parlò della cosa per anni: quando ne accennò in un’intervista al Telegraph fu choccato dal clamore che aveva suscitato e decise di non parlarne più. Mi raccontava che Churchill si era complimentato con lui: si era persino tolto i denti finti per recitare meglio la parte».
Non tutti ci credono. C’è chi sostiene che in realtà Churchill registrò quei discorsi a guerra finita nella sua casa di Chartwell per consegnarli alla Storia. O forse per sostituirli alla copia. Chi sostiene che quella sera non andò in onda alcun discorso ma solo un resoconto giornalistico. Ma due testimoni hanno raccontato altro ai giornali. Nella Last, una casalinga, nel suo meticoloso diario di guerra ricorda «quella voce roca e balbettante che diceva che avremmo combattuto sulle spiagge, per le strade. Conta su di me, pensai, io ci sarò». Hugh, un veterano scozzese di Dunkerque: «Dopo quella fuga molti di noi non avevano più nemmeno gli stivali. Ci scaricarono vicino a Dover, eravamo tutti spaventati e storditi, il ricordo dei Panzer ci faceva urlare la notte. Poi ascoltammo Churchill alla radio dire che non ci saremmo mai arresi. Ho ho pianto e pensato: all'inferno i panzer, andiamo a vincere». Altri stanno a metà: il primo ministro lo ha autorizzato a parlare al suo posto ma solo per il pubblico americano. «Churchill lo aveva ascoltato, era molto divertito e ha dato la sua approvazione - rivela lo storico Stephen Bungay - Ma non ci sono prove che che lo abbia sostituito anche in patria».
Norman
Shelley stava ancora registrando una serie tv, «The Archers», quando si sentì male alla stazione della metropolitana di Finchley Road. Se ne andò la sera stessa. Con un segreto nascosto nel cuore. Chi era il dottor Watson?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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