La notte a bordo della gazzella: "Cosa significa esser carabinieri"

Siamo stati a bordo di una gazzella dei carabinieri per raccontare il lavoro degli uomini dell'Arma al servizio del cittadino. "Essere carabinieri significa avere la consapevolezza che il proprio dovere viene prima di ogni cosa"

La notte a bordo della gazzella: "Cosa significa esser carabinieri"

Una presenza forte e capillare sul territorio: 530 chilometri quadrati, 4 province di riferimento, 57 comuni di competenza e 23 paesi confinati. Ecco in cifre il territorio di Monreale, appena 40mila abitanti ma una zona vastissima da monitorare che si snoda su quattro province della Sicilia centro-occidentale.

Le pattuglie dei carabinieri disseminate da nord a sud e da est ad ovest, nei centri più popolosi e nelle frazioni meno conosciute hanno accompagnato, di giorno e di notte, la vita della comunità. E in una di queste pattuglie siamo stati per raccontare il turno di notte dei carabinieri: dall'uscita della pattuglia dalla caserma di Monreale fino al rientro alle prime luci dell'alba. Chilometri su chilometri macinati a bordo di una gazzella per controllare il territorio tra i più delicati nella lotta a Cosa nostra: da Monreale al confine con la città di Palermo, da San Giuseppe Jato a Corleone, da Partinico a San Cipirello lungo la statale 624 nelle province di Palermo, Trapani ed Agrigento. "Noi non facciamo i carabinieri. Carabinieri si è. Essere carabinieri significa avere la consapevolezza che il proprio dovere viene prima di ogni cosa - racconta il capitano Andrea Quattrocchi comandate della compagnia carabinieri di Monreale -. Il proprio dovere è aiutare gli altri, soprattutto i più deboli. Un obbligo morale, giuridico ed etico che coinvolge tutta la nostra vita: non solo noi come singoli ma anche le nostre famiglie. Quando ci si sposa, ci si sposa in divisa perché è un gesto denso di significato. La persona che sceglie di stare al fianco di un carabiniere decide di stare con l'uomo, ma sposa anche la divisa e abbraccia la vita di un carabineire".

Monreale oggi come ieri, è un territorio di frontiera, dove è vietato abbassare la guardia e con il rischio sempre attuale di infiltrazioni della criminalità organizzata, soprattutto dalla morte del superboss di Cosa nostra Totò Riina, originario di Corleone. E proprio a Monreale hanno perso la vita tra il 1980 e il 1983 due comandanti dei carabinieri: il capitano Emanuele Basile e il suo successore Mario D'Aleo, entrambi uccisi da due agguati mafiosi. Basile morì nel giorno dei festeggiamenti del Santissimo crocifisso di Monreale mentre rincasava. D'Aleo perse la vita a Palermo insieme ad altri due colleghi, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici, uccisi da Cosa Nostra in un attentato il 13 giugno 1983 in via Scobar, mentre erano a bordo della propria auto di servizio. "Monreale è un territorio crocevia di interessi differenti - spiega il tenente colonnello Luigi De Simone, comandante del gruppo carabinieri di Monreale -. Non a caso l'operazione Cupola 2.0 ha consentito di appurare la volontà di ricostituire una gestione unitaria di Cosa nostra e una riorganizzazione dei mandamenti mafiosi. Dopo la morte di Totò Riina si è assistita ad una sorta di spostamento dell'asse decisionale da Corleone a Palermo, ovvero dalla periferia al centro. Un'operazione che ci ha permesso di bloccare sul nascere qualunque iniziativa".

Oggi la mafia ha cambiato volto, si è adattata al mutamento della società e cerca nuovamente consenso. Cerca soprattutto di appurare la propria supremazia. "Bisogna fare un distinguo - prosegue De Simone -. C'è una mafia più arcaica, pastorale, che mira al controllo del territorio attraverso l'affermazione della propria presenza, attraverso il pizzo e le estorsioni ma anche tramite le infiltrazioni negli appalti pubblici, prestiti a tassi usurai e spaccio di stupefacenti. La struttura del fenomeno cambia radicalmente in città, dove per i mandamenti mafiosi è più facile muoversi grazie al consistente flusso di denaro e dall'aggredire - con l'anonimato - le attività economiche lecite. Richieste estorsive ai danni di piccoli e grandi imprenditori sono i mezzi più usati dalle famiglie mafiose per imporre il proprio potere".
Cosa nostra tende a controllare attraverso la gestione economica tutto il territorio di riferimento. E lo fa attraverso lo spaccio di stupefacenti, le piantagioni indoor di droga, il racket, il controllo degli appalti pubblici e la prostituzione. Ma non solo, perché qualunque movimento che possa portare un vantaggio economico può essere di interesse per i mandamenti mafiosi: "Anche imporre un buttafuori in una discoteca". sottolinea De Simone.

Negli anni è cambiata la Sicilia: un risveglio delle coscienze atteso da troppi anni dopo il medioevo degli anni Settanta e Ottanta che ha avvicinato le Istituzioni a chi ha deciso di collaborare con lo Stato. "Cosa nostra ha bisogno di denaro perché continua a mantenere le famiglie dei detenuti affiliati - conclude De Simone -. Cosa nostra ha bisogno di rimarcare la propria presenza. I colpi che lo Stato ha inferto sono stati fortissimi e significativi e loro cercano in ogni modo di ritrovare un nuovo assetto da poter aggredire".

I carabinieri oggi chiedono ai cittadini di fidarsi delle Istituzioni, dell'Arma dei carabinieri e di sentire in maniera radica la propria appartenenza allo Stato. "Il nostro intento è quello di rendere un giorno questa terra finalmente libera".

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