Dall'Appia antica a Fiumicino parlando in latino con 5 telefonini

Le mille vite del padrone della Lazio, vincente ma mai amato dai tifosi

Dall'Appia antica a Fiumicino parlando in latino con 5 telefonini

Tutto previsto. O comunque prevedibile. Lo aveva detto Luca, che non è uno qualunque, ma il suo autista personale, da sempre forse: «Se la Lazio fosse l'Alitalia, oggi Lotito sarebbe un eroe nazionale». Alludeva, il Luca, al salvataggio e alla rinascita della squadra di football, affogata di debiti per l'era dorata di Sergio Cragnotti. Mission impossible ma non per lui. Lotito Claudio, da Marino, vive una, cento, mille vite nel medesimo tempo, viaggia con la voce e il pensiero a una velocità che supera qualunque autovelox, risponde a cinque telefonini con lo stesso impeto, tratta manovali e ministri con uguale tono e astuzia, ha ridato sangue alla lingua morta, per lui Cicerone è un compagno di giochi, il latino un modo per stupire i borghesi e non soltanto quelli, l'italiano aulico e/o da supercazzola prematurata, per spiazzare cronisti affamati di chissà quale scoop sul calciomercato, pesca, dalla sua cesta personale, quasi in esclusiva, sostantivi e aggettivi da Bartezzaghi de La Settimana Enigmistica, il suo frasario è una ricetta fusion tra Patrolini e l'Alighieri.

Difficile metterlo all'angolo, sfugge, svaria, ondeggia e, poi, affonda il colpo con una parola a sorpresa, gli piace la sinestesia e si diverte, perfidamente, a pronunciarla mentre c'è chi strabuzza gli occhi o volge il capo altrove, fingendo di avere compreso l'arcano. È Lotitesco o Lotitiano in tutto, se parla di affari, là dove è davvero uno special one, o di football, che, pure essi sono affari, questi in mano a «prenditori» differenti non soltanto per l'assenza delle due prime lettere, da chi, invece, dovrebbe avere il senso dell'impresa che, ovviamente, per lui è l'intrapresa. Non osserva diete, si è leggermente gonfiato nel fisico non certo atletico, ma è il cervello che è fino, rapido come rari nantes, ci risiamo. Nella sua dimora sull'Appia Antica, Villa San Sebastiano, che fu il sito di uomini vicini al Duce (il fotografo di Mussolini, segnala lo stesso nuovo proprietario dell'immobile), vive e lavora, riceve e ordina, pensa e dispone. Il tempo delle mele è un ricordo nemmeno nostalgico ma una sfida continua, era, o meglio fu, giornalista pubblicista a il Tempo di Angiolillo e per contrappasso dantesco, oggi, con la stampa, il Lotito ha un rapporto che definirlo conflittuale è roba da crocerossine.

Il modo suo di agire, parlare, pensare, potrebbe avere una spiegazione nell'araldica di famiglia, uno zio carabiniere e un padre vicino agli ambienti medesimi, però niente affatto «uso ad obbedir tacendo», semmai un rigore che salta in aria, come un tappo di spumante, spesso e volentieri, quando al Claudio non vanno giù le furbate altrui, perché lui stesso si considera il depositario del giusto agire, del lavoro saggio e utile alla comunità, là dove il suo apparire spigoloso e, a volte, cafone e sbruffone, fa i conti con una generosità che per qualcuno è canagliesca, ma pure sincera.

Lotito non è amato dal popolo della tifoseria laziale, è colpevole di alto tradimento perché non è sceso a patti, ha tagliato privilegi, biglietti e tessere omaggio e dunque la ciurma ha giurato di fargliela pagare, rovinandogli l'atmosfera dell'Olimpico e costringendolo a circolare con la scorta che si dovrebbe a una figura istituzionale importante o a un mafioso pentito. Tra i vari monili nei suoi cassetti, risulta un paio di gemelli con il disegno di aeromobili della Belle Époque, lui stesso mi ha confermato che da bambino giocava con gli aeroplanini, come qualunque altro pupo ha fatto, del resto.

Ma da qui a comprarsi l'oggetto originale, in scala 1 a 1, è passato un po' di tempo. «Speriamo» mi ha detto al telefono, mentre rispondeva in contemporanea ad altri quattro cellulari. Come un controllore di volo. O no?

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