Coronavirus

"Perché questo martirio?". Il dolore delle due figlie: così il papà è morto solo

Il cardiologo Sergio Dalla Volta è morto a Padova il 20 agosto, solo e in isolamento. L'appello delle figlie ora ha convinto l’ospedale a cambiare il protocollo. È la prima volta in Italia

"Perché questo martirio?". Il dolore delle due figlie: così il papà è morto solo

Questa volta un appello accorato ha avuto la meglio sulla burocrazia implacabile. L'azienda ospedaliera di Padova sta definendo un nuovo protocollo per consentire, per la prima volta in Italia, le visite dei familiari nelle ultime ore di vita dei loro cari malati di Covid. La decisione nasce dopo la dura denuncia delle figlie di Sergio Dalla Volta, il cariologo padovano morto di coronavirus il 20 agosto, solo e senza nemmeno il conforto di un ultimo saluto. "Intubato, sofferente e solo come un Cristo in croce. È morto così nostro padre, senza il conforto della mano di una figlia sulla sua, in una sofferenza psicologica disumana di cui ero testimone quando lo vedevo sul tablet, pur essendo a cinque minuti dall’ospedale".

Ad agosto Sergio Dalla Volta, 92 anni, luminare della cardiologia accademica italiana era stato ricoverato all’ospedale di Padova dopo un infarto. Ricoverato in terapia intensiva con un quadro cardiologico grave, solo dopo è risultato positivo al coronavirus. "Ma aveva una carica virale bassa, rimanendo praticamente asintomatico, senza traccia nei polmoni", racconta la figlia Maurizia, musicista e insegnante al Conservatorio di Parigi, a Padova quando il padre ha avuto l'infarto. Con la positività del tampone scatta il protocollo antivirus anche per l’illustre professore: isolamento e divieto assoluto di contatti. Maurizia però non si rassegna. Si rivolge alla direzione sanitaria chiedendo una deroga. "Mio padre stava vivendo le sue ultime ore e saperlo solo era una sofferenza disumana... è stato un padre meraviglioso. Avevo chiesto se era possibile andare a dargli un ultimo bacio". Niente da fare la legge implacabile non ammette eccezioni. Unico conforto, un ultimo e veloce addio alla salma del padre, poi quasi rinfacciato come uno strappo alla regola. "Essendoci stato detto che i pazienti Covid vengono ancora messi in un sacco e nella bara senza che le famiglie possano dar loro un estremo saluto, come se scomparissero in mare", ha aggiunto la figlia.

Così, bardate con stivali, tute, maschere e guanti forniti dall’impresa funebre, hanno potuto mettere almeno due fotografie e una lettera nel sacco prima che venisse portato via. "Il rischio sanitario era praticamente nullo. Sarebbe stato infinitamente maggiore, se vogliamo, alla funzione religioso". Dopo quella "breccia di umanità" nel muro dei rigidi protocolli, le due sorelle hanno lanciato un appello per trasformare l'eccezione a loro concessa in una regola valida per tutti. "Proprio in virtù di questa fattibilità chiederei alle autorità italiane di rendere regolarmente accessibile alle famiglie la possibilità di vedere un’ultima volta i loro cari. Pur nella tristezza è una piccola consolazione antica che aiuta in qualche modo a elaborare il lutto". Non solo. Le figlie del cardiologo vanno oltre: "Chiederei anche che venga concessa, con le dovute precauzioni, la visita ai parenti in fin di vita. Non averlo potuto fare per nostro padre resta un trauma dolorosissimo perché viola una necessità fondamentale iscritta da sempre nel dna dell’essere umano. È una crudeltà inutile e ingiustificata dai numeri. Ma quale deriva etica terrificante è quella di una società in cui queste cose sono permesse al consumatore, all’homo economicus, al quale si aprono bar, ristoranti e stadi con la sola accortezza di una mascherina, mentre ai figli non è concesso di andare a salutare i padri morenti, neppure bardati come astronauti?". E questa volta all'ospedale di Padova hanno ascoltato.

Da oggi i pazienti Covid non moriranno più soli.

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