Pasta, stampe e pomodoro del designer buongustaio

Possono una farfalla, un fusillo o una pennetta imprimersi su tessuti, intarsiare la maglia, diventare patch sulla pelle e trasformare i vestiti in spettacolari oggetti di culto? Stando al successo di una gustosa linea di moda, sì. A mettere in tavola questa impresa è riuscito Alessandro Enriquez, 30 anni, carattere multitasking - fa bene cento cose, lavora, viaggia, scrive, disegna, crea collezioni - in soli due anni. Nato a Palermo da madre siciliana e padre di origine franco-tunisina discendenza spagnola, è un tipo inquieto e appassionato, veloce nel catturare segnali creativi al punto che è riuscito ad anticipare il tema di Expo attraverso un'ottica artistica.

Dopo la laurea in lettere a Palermo, un periodo trascorso a Barcellona, a Palma de Mallorca e Londra, decide di studiare fashion design in due scuole prestigiose, la Saint Martin's di Londra e l'Istituto Marangoni di Milano. Poi insegna, scrive per diverse testate, gira il mondo e crea con il suo marchio 10X10 An Italian Theory e in più si diverte a progettare anche le borse con la designer Azzurra Gronchi. Divenute celebri per l'inno costante alla bontà e alla bellezza della nostra cultura enogastronomica, le sue collezioni, originali e divertenti, vengono richieste da ogni parte del mondo. Ecco la filosofia di un raffinato designer buongustaio.

Quando nasce la sua passione per il food?

«Sin da quando ero bambino e la devo principalmente alle mie due nonne: quella siciliana e quella franco-tunisina. Adoravo stare con loro davanti ai fornelli, prima per gioco, poi per passione. Tuttora mi piace cucinare e lo faccio con piacere per i miei amici».

Come la passione per il cibo è diventata ispirazione per la moda?

«Tutto è cominciato quando lavoravo da Costume National e mi prese il desiderio di conoscere, nel mondo della moda, cosa mangiavano certi personaggi, come allestivano le tavole, quali erano i loro gusti in fatto di decori. Così è nato un libro, 10X10 An Italian Theory, pubblicato nel 2012».

Da questo a una collezione il passo è stato breve?

«Il successo del libro ha fatto sì che nel 2013 una galleria mi chiedesse di realizzare un progetto tra moda, food e design. Da qui sono nati cinque modelli di borse e una poltrona fatti con patch di pelle a motivo grafico di cibo... da qui la prima collezione con maglie e poltrone in pelle intarsiata con vari formati di pasta».

Perché la pasta?

«Perché mi piace, perché è profondamente italiana, perché quando dici pasta, pizza, mozzarella ti capiscono tutti».

Quali sono stati gli stimoli artistici che hanno nutrito la sua creatività?

«Mi ha ispirato soprattutto il design e in questo senso per esempio le grafiche della pasta Barilla. M'intriga il lavoro del fotografo visionario La Chapelle così come ho molto amato l'arte di Adrian Piper con improvvisi tocchi di rosso nel tanto nero, mi ha molto impressionato, nel museo Dalì di Figueres un'intera parete ricoperta di croissant e le baguette poste sulle teste delle statue, la sfilata Chanel nel Grand Palais trasformato in un supermercato come da desiderata di Karl Lagerfeld... ma se ci penso bene mi avevano già colpito, negli anni Novanta, i ravioloni impunturati sui piumini di Jean Charles de Castelbajac».

Come continuerà questo suo feeling con il cibo?

«Alla pasta sono seguite le dolcezze della colazione, dai croissant alle cassate, dal cappuccino al caffè. Per il 2016, ho preparato una collezione ispirata all'Estate Italiana dove le sdraio a righe sono quelle dei Bagni Alessandro, la stampa golosa è quella con le cialde dei gelati, le grafiche riportano sui gelati i nomi delle isole Eolie e poi c'è anche una stampa con tanti pesciolini disegnati a mano su fondo azzurro... insomma freschezza e preziosa sartorialità grazie anche ai tessuti esclusivi fatti con Bonotto».

Qual è il colore del cibo che la intriga di più?

«Mi appassionano le tante intensità che può assumere il pomodoro: rosa quando è crudo, fucsia, bordeaux e rosso intenso quando sobbolle per ore ore nei sughi e nei ragoût».

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