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Perché l'Europa ringrazierà Putin

Perché l'Europa ringrazierà Putin

A Bruxelles l'imbarazzo è pesante. In molti l'hanno già capito. Se l'Europa riuscirà a schivare la bomba-migranti preparata per lei da Recep Tayyp Erdogan il merito sarà tutto di quell'«illiberale» di Vladimir Putin che l'Unione isola e sanziona. E, come se non bastasse, l'Europa rischia di doverlo ringraziare anche per il suo impegno nella lotta a un risorgente Stato islamico. Se tutto andrà secondo i piani del Cremlino sarà la Russia, infatti, a risolverci le due grane. Non perché è buona e generosa, ma perché l'eliminazione dell'Isis e del problema migranti saranno le naturali conseguenze della cosiddetta «pax russa» in Siria. Il piano di Putin è semplice e prende lentamente forma sotto gli occhi un'Europa ormai assente dal quadrante mediorientale e di un'America costretta alla fuga. Putin l'ha elaborato e attuato mentre Donald Trump annunciava il ritiro dalla Siria ed Erdogan si preparava a fare piazza pulita dei curdi con le sue orde di mercenari jihadisti.

In quell'imprevedibile capovolgimento strategico capace di lasciare sorpreso e attonito il resto del mondo, Putin ha scorto l'opportunità di mettere fine al conflitto siriano e imporvi una pace alle proprie condizioni. Mandando l'esercito dell'alleato Bashar Assad a riprendersi i territori dei «terroristi» curdi ha tolto a Erdogan ogni giustificazione politico-strategica mettendolo di fronte al rischio di fare i conti con la potenza russa. E di doverlo fare, visti gli sgarbi con Washington, senza la protezione della Nato. Ma il presidente russo sta anche offrendo a Erdogan due occasioni imperdibili per recuperare il perduto consenso interno. La prima riguarda proprio la tanto sventolata «minaccia» curda. Non appena l'esercito siriano avrà riguadagnato, grazie ai russi, il controllo di tutti i territori dall'Eufrate al confine iracheno, Erdogan potrà facilmente attribuirsi il merito del capovolgimento strategico che ha costretto le milizie curde ad abbandonare la frontiera. A quel punto dovrà fare i conti con un'altra offerta russa impossibile da rifiutare, ovvero il rientro a casa di quei tre milioni e 600mila profughi siriani diventati il suo principale assillo interno. Per ottenerlo dovrà soltanto accontentare Putin e sospendere l'appoggio ai miliziani jihadisti che controllano - assieme alla costola siriana di Al Qaida - i territori di Idlib, l'ultima provincia siriana ancora in mani ribelli. Un controllo, dal punto di vista del Sultano, ormai inutile visto che il sogno di cacciare Assad, portare i ribelli a Damasco e trasformare la Siria in un protettorato di Ankara è definitivamente svanito. Molto meglio ascoltare i suggerimenti di Putin e restituire alla Siria quell'integrità territoriale che permetterebbe ad Assad di proclamare la vittoria finale e a Mosca d'imporre un piano di riconciliazione nazionale per garantire il rientro dei rifugiati. A quel punto il conflitto siriano potrà dirsi definitivamente concluso. Mosca per evitare il rischio di attentati sui propri territori non potrà, però, esimersi dal neutralizzare quelle cellule dell'Isis, ancora attive in Siria, tra cui militano centinaia di jihadisti originari dalle regioni musulmane della Russia e dell'ex Unione Sovietica.

Garantendo il rientro dalla Turchia dei profughi siriani e cancellando, con i suoi metodi, ogni rischio di ritorno dell'Isis Putin avrà, però, risolto anche i problemi dell'Unione Europea. Un'Unione che, con tutta probabilità, si guarderà bene dal ringraziarlo, ma continuerà, invece, a rinnovare le sanzioni e a definirlo un rischio per la democrazia.

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