Quando e come finirà la pandemia: la tensione sociale fuori controllo

Le parole del dottor Corbellini, titolare della cattedra di Storia della Medicina presso l'università La Sapienza di Roma, che parla di "tensione sociale". E accusa: "Una gestione tra il terroristico e il paternalistico"

Quando e come finirà la pandemia: la tensione sociale fuori controllo

Ci troviamo ancora in una fase di uscita dall'emergenza Coronavirus, ed è certamente questo il momento più delicato: il tentativo di lasciarsi alle spalle tutto il dolore e di scrollarsi di dosso la paura della pandemia è un procedimento graduale ed impegnativo, che richiede del tempo. In questo momento particolare, tuttavia, come analizzato da alcuni esperti di storia della medicina sul New York Times, si crea un bivio tra la fase del superamento della pandemia dal punto di vista medico scientifico e quello sociale. In particolar modo ciò si verifica quando in realtà il virus che ha scatenato il panico non è ancora sparito del tutto, ma la gente costretta a convivere con la realtà alterata dalla presenza dello stesso, prova a riprendere la sua vita quotidiana quasi come se non si avvertisse più alcun ulteriore rischio.

Particolarmente interessante a tale proposito un'intervista riportata sull'Huffington Post in cui viene interpellato a riguardo il professor Gilberto Corbellini, titolare della cattedra di Storia della medicina presso l'università La Sapienza (Roma).

"Non esiste nella storia della medicina nessun caso di epidemia o pandemia che si siano 'chiuse socialmente' in un momento in cui c’era un’alta mortalità e le persone avevano paura di morire", esordisce l'esperto parlando della situazione in Italia."È chiaro che di fronte al lockdown e a tutti i disagi, di fronte al fatto che la mortalità non è così alta da arrivare alla percezione comune, possa verificarsi un abbassamento della percezione di rischio. E questo forse è il caso di Covid-19", sostiene.

323 mila decessi fino ad ora, a fronte dei milioni causati dalla Spagnola nello stesso lasso di tempo dall'inizio della diffusione del virus, ma comunque tanta paura. "Chiaro che la percezione di questa infezione nella società è legata alla comunicazione, al numero trasmesso in televisione di morti che scatena l’emotività, ma che non è un numero abbastanza alto da far sì che le persone nella maggioranza conoscono qualcuno che è morto o che di questa malattia abbiano paura", spiega il professore. Un numero di morti elevato specie tra gli anziani e gli affetti da malattie pregresse. "Si è diffusa all’inizio una paura ingiustificata, sulla scia dell’emotività suscitata dalla comunicazione. È stato il virus più mediatizzato della Storia della Medicina", asserisce il dott. Corbellini, che spiega gli elementi che hanno spinto verso una paura ingiustificata.

"Il rituale delle 18, numeri che parlano del nulla per spiegare il nulla, non ha fatto altro che accrescere la tensione sociale. Una gestione tra il terroristico e il paternalistico", ma di certo un male che non può essere paragonato neppure lontanamente con la Spagnola. "Spaventò perché uccideva i giovani-adulti. Il virus scatenava tempeste citochiniche in persone con sistema immunitario robusto. E vedere persone di 25-30 anni morire era uno choc sociale spaventoso. Come se vedessimo oggi morire ragazzini di 18 anni. Ecco. Questo choc non c’è stato per il Covid-19 ", ribadisce ancora.

La difficoltà da parte di tanti a ripartire si può spiegare quindi più da un punto di vista psicologico che medico in senso stretto. "Noi abbiamo una risposta psicologica innata verso le epidemie e le pandemie. Ci terrorizzano e scatenano una serie di reazioni che escono da qualsiasi controllo razionale. In questa situazione di paura che ormai circola, si crea un’ambivalenza nelle persone: da una parte un sentimento di pessimismo sullo scenario generale, si ha paura che l’epidemia riprenda o sia ha paura per il futuro. Ma sul piano individuale tendiamo ad essere ottimisti, pensando che in qualche modo ce la faremo sempre, per questo prendiamo anche più rischi di quelli che dovremmo", spiega il docente.

Sulla fine della pandemia, invece, il dott. Corbellini non ha certezze. "Di base la pandemia finisce con l’adattamento reciproco tra virus e specie ospite. Il mondo umano è estremamente capace di adattarsi: se è vero che le forme che manifesta questa malattia adesso sono più lievi forse è anche perché i medici hanno imparato a curarle meglio, o il carico virale è inferiore grazie alle mascherine e al distanziamento", ipotizza. "Di sicuro non ci sono prove che il virus sia cambiato al punto da far ritenere che abbia perso virulenza. Può darsi che accada. Ma al momento non ci son prove. Ci possiamo aspettare che piano piano la pandemia si spenga o mantenga focolai minori in Paesi con condizioni favorevoli al virus, temo per l’Africa o il Sud America", aggiunge ancora.

"Possiamo sperare, poi, che attraverso la ricerca farmacologica e del vaccino venga fuori qualcosa che ci faccia vincere definitivamente. Ma se mi chiede cosa accadrà non lo so: potrebbe spegnersi come tornare con scenari peggiori", conclude.

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