Cultura e Spettacoli

Quando Ottone censurò l'agguato a Montanelli

Morto a 92 anni il giornalista che negli anni Settanta spostò a sinistra il Corriere emarginando Indro

Quando Ottone censurò l'agguato a Montanelli

I grandi giornalisti non amano i giornalisti, grandi o piccoli che siano. Qualcuno dice: perché li conoscono troppo bene. E forse non hanno tutti i torti. Piero Ottone, all'anagrafe Pier Leone Mignanego, morto il giorno di Pasqua all'età di 92 anni, è stato senza dubbio un grande giornalista.

Lo dice la sua carriera, iniziata dal basso, dalla cara, vecchia gavetta, e salita fino all'empireo della poltrona più ambita, quella di direttore in via Solferino, al Corrierone. Primi passi in un altro Corriere, quello Ligure, nel 1945 e nella sua Genova, poi andatura più spedita alla Gazzetta del Popolo di Torino sotto la direzione di Massimo Caputo, dove diviene corrispondente da Londra. Segue la prima esperienza al Corriere della Sera, come corrispondente da Mosca nei delicatissimi anni Cinquanta e quindi come redattore capo. Nel '68, anno altrettanto delicato, più sul fronte interno che su quello internazionale, torna a «casa»: direttore del Secolo XIX, in gergo, il «Monono». A 44 anni, la formazione è ormai ultimata: scrittura solida, evidenti capacità direttive e di guida della macchina-quotidiano.

Se ne accorgono anche a Milano, dove lo tengono sotto osservazione e, nel '72, decidono che è lui l'uomo adatto a subentrare a Giovanni Spadolini, autorevole ma grigio, colto ma cauto, troppo cauto. Giulia Maria Crespi vuole (e non soltanto lei...) un Corriere meno moderato, meno conservatore, più aggressivo, più à la page, insomma, in linea con l'aria che tira.

E qui ritorniamo al punto di partenza, ai grandi giornalisti che non amano (eufemismo) i giornalisti, in questo caso i grandi giornalisti. Perché al Corriere, Ottone non ci mette né uno né due a scontrarsi con Indro Montanelli, l'inviato principe. Indro non accetta il nuovo corso che fa rima con sinistrorso, ritiene che il Corriere così facendo tradisca prima il proprio lettorato e poi, in subordine, l'elettorato anticomunista. Potete immaginare come abbia preso, l'anno dopo, nel '73, gli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini in prima pagina... Il dado era tratto: o Piero o Indro. «Guardando retrospettivamente forse fu un errore licenziarlo», ammise Ottone in una lunga intervista alla Repubblica, tre anni fa. Perché questo accadde, Montanelli non se ne andò dal Corriere, ne fu cacciato, dopo il casus belli di una sua intervista al Mondo in cui, come ricordava Ottone, invitava in sostanza la borghesia a divorziare dal quotidiano di via Solferino.

Tutti sanno che senza quello strappo, noi oggi non saremmo qui a (ri)scriverne su queste colonne, visto che da lì, da quella clamorosa rottura, nacque, nel '74, questo Giornale. Auspicando il divorzio della borghesia milanese dal suo foglio di riferimento, Montanelli si propone come suo nuovo «amante». Un amante non occasionale, ma fedelissimo, irriducibile, coraggioso. Così, per tre anni le strade di Ottone e di Indro proseguirono seguendo tragitti lontani, divergenti. Il Corriere a spingere da una parte, il Giornale a resistere dall'altra, colmando il vuoto editoriale che si era creato. Ma c'era in agguato il fattaccio, nipote di un'ideologia distruttiva e figlio di un metodo criminale. E su questo fattaccio di cronaca nera i due big si ritrovarono l'uno contro l'altro: Indro in ospedale, Ottone a preparare la «prima».

La mattina del 2 giugno 1977, Montanelli viene «gambizzato» dalle Brigate Rosse. Il giorno dopo, il Corriere titola: «I giornalisti nuovo bersaglio della violenza. Le Brigate Rosse rivendicano gli attentati». Il nome Montanelli è confinato nel lungo sommario (mentre più in basso c'è l'intervista di Enzo Biagi al collega ferito). E molti ripensano a quanto poco i grandi giornalisti etc etc. Poi Indro si rimette in piedi, e torna a correre con il Giornale. E, di lì a poco, anche Ottone esce dal Corriere. Dimissioni, questa volta. Passa alla Mondadori come consulente. Infine, alla Repubblica.

Il destino ha voluto che morisse a 92 anni, come Indro.

E su questo, purtroppo, non c'è più nulla da discutere.

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