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Però in quelle stelle non brillano i diritti umani

Però in quelle stelle non brillano i diritti umani

Sta lì e sventola leggera sul pennone del Quirinale, a tre passi di distanza dal tricolore italiano, e quasi ti sorprende, come un'illuminazione improvvisa sotto il cielo di marzo, mese da sempre santo e dannato a Roma. È la bandiera rossa, quella di Mao, con le cinque stelle gialle, una grande, le altre (...)

(...) più piccole. Non c'è mica nulla di strano. È il protocollo, quando un presidente straniero arriva sul colle della Repubblica il bon ton dice che bisogna alzare la bandiera dell'ospite. Vale per tutti e ancora di più per Xi Jinping, che viene qui sulla via della seta, a stringere la mano e a firmare contratti con gli eredi di Marco Polo, perché in fondo con la Cina noi facciamo affari dai tempi di Kublai Khan, il nipote di Gengis. Solo che un po' fa strano e ne parlano tutti, perché quel rosso a cinque stelle e ogni stella a cinque punte ti ricorda che Xi Jinping è il capo del grande «Partito-Stato comunista» e lo stesso Mattarella non può proprio far finta di nulla, tanto che, con molta grazia, ricorda che gli affari sono affari, ma ci sarebbe quella questione dei diritti umani prima o poi da risolvere.

Xi non si offende, conosce il problema, ma allarga le braccia come a dire che non sempre si può fare tutto quello che il cuore desidera e la Cina è grande, immensa, e mai nessuno è riuscito davvero a governarla con gli equilibri instabili di quella invenzione occidentale che è la democrazia. È una questione di numeri e di spazi. Come li tieni insieme miliardi e miliardi di persone in un territorio grande come un continente? Fate fatica persino voi italiani, figuratevi noi, sussurra il grande capo di Pechino.

Non è in fondo la prima volta che la bandiera rossa comunista sventola al Quirinale. È successo con Mikhail Gorbaciov il 29 novembre 1989, ed era ancora quella originale sovietica. È accaduto pochi anni fa, il 22 novembre 2016, con Tran Dai Quang ed era rossa con una grande stella gialla a cinque punte al centro. Era la bandiera vietnamita e in pochi se ne accorsero.

Perché allora stupirsi per la Cina? Il comunismo non è più un'ideologia. È un retaggio che non si sa come smaltire e certo quello che resta è la dittatura del Partito e dello Stato, con tutto il suo orrore di libertà violate. Ecco, quel drappo rosso porta ancora il sangue di Piazza Tienanmen.

Quella bandiera rossa è uno specchio che parla, ma dice tante cose e ogni parola nasconde miriadi di interpretazioni, che mutano con le stagioni. La bandiera rossa fu disegnata dall'economista Zeng Liansong, che non ha mai chiarito il senso di quelle cinque stelle. La più grande è probabilmente il Partito e, alle origini, aveva anche una falce e martello al suo interno, ora non c'è più, le altre quattro più piccole sono forse le classi sociali. Quali? C'è chi dice operai, contadini, studenti e soldati. E chi invece ci vede sempre gli operai e i contadini, ma poi borghesia e capitalisti. Xi Jinping è tra questi. C'è poi la visione territoriale. La stella più grande è la grande etnia Han e quelle piccole sono le altre più importanti minoranze etniche (in realtà in tutto sono almeno 56). La Cina è una faccenda complicata.

Ora sta a Xi raccontare la nuova Cina, superpotenza globale che ha riscoperto il mercato e il capitalismo sotto il potere assoluto dello Stato. La Cina dei mercanti che contende all'impero a stelle e strisce un secolo non più americano.

Vittorio Macioce

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