Da ieri è palese che le banche rappresentano la reale bomba a orologeria sotto la panca del governo Renzi. Più delle elezioni amministrative, della riforma costituzionale e relativo referendum. Il Giornale, peraltro, lo sostiene fin dal novembre scorso, quando la «risoluzione» dei quattro istituti locali Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, decisa dal governo stesso con il conseguente annullamento di azioni e obbligazioni subordinate, ha mostrato quanto fragile fosse il sistema, inadeguata la gestione della crisi e imbarazzante quella della comunicazione.
E da ieri il tema è salito di livello, al punto che lo stesso Matteo Renzi, nella conferenza stampa dopo il vertice Ue di Bruxelles, è intervenuto direttamente su un'operazione in corso: l'integrazione tra la Popolare di Milano e il Banco Popolare. Affermando che nel sistema bancario italiano bisogna «aiutare i processi di fusione e integrazione» e dichiarandosi d'accordo con la dichiarazione del ministro dell'Economia Padoan sulle nozze. Il quale, in una nota, ha detto che dall'operazione «nascerà una banca più grande e più forte». Aggiungendo di essere «informato della determinazione del management di Bpm e Banco Popolare a procedere nell'operazione di fusione, con il soddisfacimento di tutti i requisiti indicati dalla Bce per il via libera. Un'operazione che viene recepita con favore da tutti gli stakeholder e degli investitori».Sarà un caso, ma le ultime sono identiche alle parole usate già giovedì sul Sole-24 ore e ripetute ieri sull'Huffington Post da un gestore di una media società di fondi speculativi diventato in questi ultimi anni un personaggio mediatico virale: Davide Serra.
Che deve però abilmente le sue fortune all'intuizione giusta nel momento giusto: quella di legarsi a Renzi e alle sue Leopolde. Diventando così prima un «finanziere» e poi il «finanziere» più vicino a Renzi. Ed è da questa posizione che Serra si era portato avanti con il lavoro, anticipando già da qualche giorno l'irritazione del governo per lo stallo della fusione. Recitando però la parte del poliziotto cattivo che Renzi non può certo sostenere: quella dell'attacco alla vigilanza unica della Bce colpevole di ostacolare la fusione tra le due italiane. E mettendo due donne nel mirino: Danièle Nouy, presidente francese della vigilanza, e Sabine Lautenschläger, la sue vice tedesca, viste come due pericolose burocrati. Pericolose soprattutto per Serra, chiacchierato sia per avere investito sempre con grande tempismo in azioni delle popolari, sia per avere lanciato un fondo che investe nelle sofferenze bancarie. I poliziotti buoni, invece, Renzi-Padoan, si sono limitati alla moral suasion, ancorché pesante come il piombo e rivolta a manager di società private e quotate in Borsa.
Bizzarro. Ma comprensibile: un problema nel Banco non sarebbe un'onda anomala durante una mareggiata tirrenica, com'è stato il caso Etruria, bensì uno tsunami da oceano Pacifico. E un eventuale intoppo nel programma di risanamento delle popolari si trasferirebbe subito su altri problemi ancora più minacciosi, tipo Mps. E si salvi chi può.
Com'è, come non è, in vista dei cda convocati per martedì, in serata si è appreso che Bpm e Banco, per incassare il via libera della Bce, stanno pensando di vendere asset per un miliardo. Mentre il finanziere milanese Andrea Bonomi, che in questi giorni si era proposto come investitore per Bpm alternativo al Banco, ha mangiato la foglia e si sta defilando.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.