Chissà se Nanni Moretti sente finalmente soddisfatta la celebre richiesta: «D'Alema, dì una cosa di sinistra». L'ex premier con i baffi non è più nel partitone della sinistra. La sinistra non ha più un partitone. Ma ora che pure Renzi se n'è andato, il Pd si sente libero di seguire il consiglio. Perfino il moderato Andrea Orlando pare Trotsky: «È il momento di rimettere al centro il bisogno di cambiare la forma del capitalismo». L'assemblea del Pd a Bologna è in cerca di una nuova frontiera, un collante ideale oltre all'antisalvinismo, che eviti il lento sbiadimento del partito, palesemente non più capace di accendere i cuori. In assenza di una visione, non si trova di meglio che ributtarsi su una forma aggiornata della vecchia e rassicurante diffidenza per la libertà d'impresa. Orlando rinnega le scelte degli anni Novanta, l'entusiasmo per la Terza via clintoniana, Landini critica il Jobs act e un «trentennio di politiche neoliberiste». Nessuno ricorda che quel cambio di narrazione non arrivò per caso, ma fu figlio del crollo del Muro di Berlino, un evento così epocale da rendere impossibile continuare a fingere di ignorare il fallimento del comunismo. Il problema è che, alla fine, anche la svolta della Bolognina è stata vissuta da molti come un espediente tattico, un necessario sacrificio per rifarsi il look dopo uno spiacevole incidente della Storia. Senza mai ammettere che in passato, e per decenni, si era preso un colossale abbaglio. Macché, quello non era mica vero comunismo. Ovviamente Orlando non c'entra con i soviet. Ma lui e Landini dimenticano che il «trentennio neoliberista» ha portato prosperità a zone del mondo che mai l'avevano conosciuta e che in Italia c'è un cattivo Stato, ma di certo non c'è poco Stato: non sono le riforme liberali a frenare il Paese, ma la loro incompiutezza. E così, mentre il New York Times celebra il modello capitalista svizzero, scoprendo che è più efficiente ed equo di quello scandinavo, qui si continua a guardare con sospetto chi fa impresa, come se ci fosse un altro modo di produrre ricchezza. E non è mica solo una tendenza di casa Pd. Il fenomeno Cinque stelle, al di là del folklore antiturbocapitalista di Diego Fusaro, ha consacrato l'illusione della «decrescita felice» declinata in una lunga serie di battaglie inutili contro Ilva, Tav, Tap, Olimpiadi. Tutte tradotte, bene che vada, in tempo perso per il Paese, nel grande spreco inefficiente del reddito di cittadinanza e in una fuga di aziende dall'Italia, mentre una ingenua norma contro le delocalizzazioni giace inapplicata. E la sinistra liberale? Carlo Calenda fa mea culpa perché «per 30 anni ho ripetuto le cazzate del liberismo».
E tra i renziani Teresa Bellanova, denunciando il caporalato, usa un'espressione sconcertante: «A un imprenditore non può essere consentito guadagnare fino all'inverosimile». Davvero ministro? Magari mettiamo per tutti un tetto massimo di 780 euro? Il campo liberale non sta bene, ma quello progressista è intrappolato in un sogno ricorrente. Che purtroppo è un incubo per tutta l'Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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