Cronache

Il reparto delle ragazzine mummie ustionate nel covo dei trafficanti

Il reparto grandi ustionati è ora affollato di questi ragazzi dai visi nascosti dalle garze, vittime del fuoco e di carcerieri senza pietà prima ancora di affrontare il mare

Il reparto delle ragazzine mummie ustionate nel covo dei trafficanti

Il fuoco ha devastato le loro mani e il loro viso, distruggendo la casa in Libia dove erano recluse prima di partire per l'Italia. Fasciate in tutto il corpo, hanno avuto paura di rimanere sfigurate per sempre. Non vogliono mostrarsi troppo a lungo davanti alla macchina fotografica, si sentono mummie con il volto malato, chiedono spesso uno specchio per guardarsi, perché nella stanza non hanno superfici su cui vedere riflessa la propria immagine tranne il vetro della finestra sul mare.

Dopo tre settimane in Italia, Kidusan e Trhas si alzano dal letto, il bruciore delle ustioni si è attenuato. Kidusan, eritrea, ha sedici anni, Trhas, etiope, venti.

Sono ricoverate a Catania con altri quattro giovanissimi eritrei, tra cui tre donne.

Il reparto grandi ustionati è ora affollato di questi ragazzi dai visi nascosti dalle garze, vittime del fuoco e di carcerieri senza pietà prima ancora di affrontare il mare.

Il rogo è stato provocato dall'esplosione di una bombola del gas nella casa sulla costa libica in cui uomini «molto violenti», come li definiscono le giovani, le avevano «chiuse a chiave». Tra le fiamme sono morte cinque persone, tra loro un bambino. Nelle case-prigioni vicine c'erano altri seicento profughi, dicono ancora le due ragazze, in attesa di partire per Italia. Sono arrivate due giorni prima della grande strage del Mediterraneo in cui sono morte ottocento persone nel Canale di Sicilia. Il fuoco ha bruciato la pelle delle mani, del collo e del viso di Kidusan e Thras, ma gli occhi sono salvi.

«Mio padre - spiega Kidusan - ha pagato duemila euro per farmi partire. Mille euro dall'Eritrea alla Libia, mille dalla Libia all'Italia». Parla un inglese discreto, non capisce l'italiano, assicura però: «In Italia vorrei fare la maestra».

Otto giorni dopo l'incendio, con il corpo ustionato, le ragazze sono state comunque imbarcate su un peschereccio dagli uomini che le tenevano prigioniere. Kidusan bisbiglia quando parla dell'incidente: «Un medico eritreo ci ha curato con una crema e siamo state alimentate con il glucosio». Il viaggio è stato segnato dal freddo e dal dolore per le ustioni. «Pain», male, ripetono entrambe.

Dopo due giorni di navigazione sono state soccorse, con i loro compagni di viaggio, dalla guardia costiera italiana.

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