Politica

Resistenza Conte, parte la guerriglia fra le rovine giallorosse

In quel vespaio che è la politica romana bisogna proprio sudarsela

Resistenza Conte, parte la guerriglia fra le rovine giallorosse

Le spine di Mario Draghi. Si potrebbe pensare che per il primario inventore di quella sorta di terapia intensiva che con gli interventi della Bce tiene in vita il nostro Paese, che con il solo apparire sulla scena ha abbassato lo spread a 100 punti, diventare premier in Italia dovrebbe essere una mezza passeggiata. E, invece, non è così. In quel vespaio che è la politica romana bisogna proprio sudarsela. Intanto perché l'attuale inquilino di Palazzo Chigi, Giuseppe Conte, a cui è stato dato lo sfratto, è convinto di uscire dalla porta ma di poter rientrare dalla finestra. «Se Draghi non ha i voti - è il suo ragionamento appeso al nulla - si torna al governo politico e in pista scendo ancora io». Probabili illusioni? Certo, ma con questo pensiero in testa Giuseppi, da Ho Chi Minh redivivo, sta guidando dietro le quinte la guerriglia nella giungla di Palazzo. Il fedele Roccobello Casalino, nei panni del generale Giap a capo dei vietcong contiani, è riuscito a strappare a Beppe Grillo un endorsment: «Siamo con Conte e contro Draghi». E sulla stessa linea si sono schierati i pretoriani del Conte ter. «Abbiamo perso - ha spiegato il ministro dimissionario Stefano Patuanelli per soffiare sul fuoco della rivolta grillina - perché la minaccia delle elezioni non è stata credibile. È arrivato il momento di fargli capire che non abbiamo bisogno di supereroi e che senza di noi non si fa niente, solo le elezioni». Mentre anche gli ex ministri piddini, di scuola dalemiana, sono tornati a lavorare sotto traccia. Ancora ieri mattina l'ex ministro Francesco Boccia è tornato alla carica per strappare qualche parlamentare ai renziani. «Se venite con noi, torna Conte». C'è, insomma, chi non si arrende mai. I soliti giapponesi.

Le spine di Mario Draghi. Anche il centrodestra, per ora, è impallato. Sulla carta il leader è Matteo Salvini, che è tentato anche perché spinto dai governatori, dagli industriali del Nord, dai gruppi parlamentari. «Io posso anche vedere cosa si può fare per appoggiare Draghi - si è confidato con i tifosi che ha nella Lega il presidente della Bce - ma certo non possono mettermi la Fornero». Poi, però, a bloccare tutto concorre il solito meccanismo perverso che condiziona il centrodestra: la Meloni si impunta sulle elezioni, Salvini gli va dietro e Berlusconi li segue. All'anima della leadership! E questo anche se in un sondaggio finito sulla scrivania del Cav c'è scritto che il 60% degli elettori di Forza Italia vuole Draghi e le larghe intese; e ancora, che se si andasse alle elezioni la vittoria del centrodestra non sarebbe sicura, mentre sicura sarebbe la riduzione drastica dei deputati azzurri, non più di 33. Ecco perché la maggior parte degli eletti di Forza Italia vorrebbe giocare la carta Draghi. «Ho spiegato al presidente - confida Sestino Giacomoni - che non possiamo farci schiacciare tra Salvini e la Meloni. Che ci conviene stare su Draghi, accompagnarlo. Solo che quei due gli fanno balenare l'idea che si può andare al voto a giugno o magari a settembre in accordo con Quirinale, vincere e lo lusingano con l'idea che potrebbero portarlo al Quirinale. Solo che noi torneremmo in pochi, non è detto che vinceremmo le elezioni e, comunque, saremmo in braccio a Salvini e alla Meloni». Il problema è che se i voti del Cav dovessero mancare sorgerebbero grossi problemi per il tentativo dell'ex presidente della Bce. «Senza Berlusconi - ammette Carlo Calenda - diventerebbe durissima».

Non si tratta, quindi, di una passeggiata, appunto, ma Draghi nella sua vita ha avuto spesso a che fare con il mondo della politica. Anche lui ha molte frecce nella sua faretra. Intanto un suo fallimento, dopo averlo messo in pista, non sarebbe indolore. Il Paese lo pagherebbe non poco sul piano internazionale, mercati compresi. E questa consapevolezza ha spinto molti a darsi da fare per coprirgli le spalle. Nel centrodestra si sono mossi Giancarlo Giorgetti e Gianni Letta. E ancora, sull'altro versante, l'intera area moderata del Pd. Ma, soprattutto, Draghi ha cominciato a tessere la sua tela. Diciamo subito che il Mario nazionale è partito con due idee in testa: un governo con un'ampia maggioranza che non si basi sulle astensioni; con dentro personalità di sicura competenza. Cioè un governo più tecnico che politico. Ma l'ex presidente della Bce è uomo di mondo. Ed è capace di cambiare strategia in corso d'opera per sminare il suo cammino: insomma, il suo esecutivo potrebbe alla fine diventare un mix di politici rappresentativi e di tecnici d'alto livello, magari proprio i leader dei partiti o una parte di essi. Un'ipotesi che gli faciliterebbe la strada con i grillini. In fondo il Colle non gli ha posto paletti. L'incontro con Conte di ieri pomeriggio gli è servito proprio per verificare l'atteggiamento e, magari, il possibile coinvolgimento del presidente dimissionario nella sua iniziativa (Nicola Zingaretti per tenerlo dentro tifa per Giuseppi come ministro degli Esteri). Draghi, in ogni caso, non ha ricevuto risposte chiare dal suo interlocutore. Tant'è che dal Pd più vicino al Quirinale è arrivato un avvertimento al premier uscente. «Conte - è il messaggio che gli ha inviato Graziano Delrio - si è conquistato un ruolo di prestigio, ruolo che perderebbe, specie in Europa, se si mettesse a fare l'oppositore di Draghi».

Un «governo politico» è stata, invece, la richiesta di Giggino Di Maio, quindi, non un «no» al presidente incaricato, ma la richiesta di una presenza anche di ministri politici nel governo. Toccherà a Draghi trovare il modo di dare una risposta a un'esigenza che potrebbe assicurargli un nuovo alleato. Magari contando proprio su quella parte del Pd che gli sta creando un cordone sanitario attorno per difenderlo dai vietcong a cinquestelle. «I grillini - è l'avvertimento di Dario Franceschini - debbono capire che con un no a Draghi rinnegano l'alleanza». Sull'altro fronte, invece, gli uomini di Mara Carfagna e di Giovanni Toti, hanno già assicurato l'appoggio al presidente incaricato per smuovere le acque nel centrodestra. «Noi - ha spiegato la Carfagna - assicureremo il nostro appoggio a Draghi in ogni caso, anche se dovessimo uscire dal centrodestra per farlo». «Saremo almeno una quarantina», è stata la previsione di Osvaldo Napoli.

Quindi, ognuno fa i suoi calcoli mentre le manovre sono in corso. E il personaggio che ha provocato tutto questo? Quel Matteo Renzi che ha mandato in soffitta il Conte bis? Ieri se ne è rimasto in disparte. Ha dato un'intervista alla Cnn e si è tenuto fuori dai giochi. «Per ora me la godo», è l'unica ironia a cui si è lasciato andare.

Ancora assapora la fine del Conte ter, il governo che non è mai nato.

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