Politica

Con la retorica "sovranista" il dibattito è un talk show

Dall'assalto alla Rai ai proclami su tutto

Con la retorica "sovranista" il dibattito è un talk show

C'è chi ha avuto l'esperienza, negativa, di inciamparci già. Alla buvette di Palazzo Madama il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, racconta le peripezie passate per quella battuta sui matrimoni gay, quel dire, senza giri di parole, «le famiglie gay non esistono». «Hanno strumentalizzato ciò che ho detto ed è successo il pandemonio», si lamenta: «Gli unici che hanno capito il significato delle mie parole sono stati i miei amici gay. Anch'io li ho! Io non parlo più. Mi cucio la bocca. Meglio evitare di parlare troppo». E chi, invece, potrebbe inciamparci. Nel salone del Senato gremito per le grandi occasioni, Alberto Airola, «testa d'ariete» della pattuglia grillina la scorsa legislatura in commissione Rai, racconta i piani 5stelle per l'azienda di viale Mazzini. «Dovremmo spiega usare le leggi di Renzi per fare piazza pulita là dentro. Dovremmo cambiare quell'azienda dal profondo, sapendo che è un ambiente pericoloso. Dovremmo metterci un marine, un generale, un samurai...».

Chiamatela «retorica sovranista», oppure «populista», oppure come volete voi. È la nouvelle vague di chi pensa che la politica sia tutta affidata alle parole d'ordine, ai comizi, ad un elenco di slogan e di sogni denominato «contratto» di governo, che si mette al centro dell'attenzione con un atteggiamento fideistico, quasi fosse una nuova ideologia. Ieri al battesimo del primo esecutivo gialloverde abbiamo visto un esempio, di questo tipo di retorica, speculare, se si può dire, a quella che altri premier e altri governi hanno interpretato da Mario Monti in poi: la cosiddetta retorica europeista, quell'atteggiamento condensato in una frase che, ripetuta tante volte, si è trasformata in un detto, «ce lo chiede l'Europa». Se la «retorica europeista» si è tramutata in un sinonimo di debolezza, quella «sovranista» potrebbe diventare l'immagine dell'impotenza. Ieri il discorso del premier, Conte, è stato forse il più applaudito nella storia della Repubblica, ha quasi trasformato l'aula del Senato in uno dei tanti «talk» che riempiono i palinsesti televisivi, con tanto di battimani telecomandati; ma forse anche il più vuoto, un elenco di proposte, spesso contraddittorie, prive di numeri, di compatibilità economiche.

Conte, ha fatto l'elogio del «populismo», si è presentato come un paladino «anti-sistema», ha disturbato Dostoevskij, ma poi ha rinviato il reddito di cittadinanza a quando saranno riformati i centri per l'impiego (il sociologo De Masi, uno dei guru dei 5stelle, predice che ci vorranno almeno 5 anni); la flat tax sarà all'inizio solo per le imprese (solo quelle che vanno bene, perché quelle in crisi già non pagano le tasse), mentre per i comuni cittadini bisognerà attendere un anno; sull'immigrazione, il governo incassa il «No» alla riforma del trattato di Dublino, ma l'idea di centri di accoglienza detentivi può portarsi dietro altri problemi, rischiamo di doverci tenere profughi e clandestini, magari in cambio di un obolo europeo. Non per nulla è un'ipotesi che piace pure alla Merkel. Naturalmente non una parola su come il governo vuole evitare la clausola di salvaguardia che prevede l'aumento dell'Iva al 25% nella prossima legge di stabilità.

Insomma, nel discorso di Conte, tante parole, tanta retorica, appunto, «sovranista», perché non costa niente. Sull'esempio dello stile di Salvini e Di Maio (tutti e due hanno dato un «ok» preventivo al discorso, lo hanno controfirmato). Solo che a volte le parole si portano dietro anche tanti guai. Come l'idea di cancellare d'emblée 250 miliardi di titoli di Stato, contenuta in una delle bozze del famoso contratto: alla fine non se ne è fatto nulla, ma intanto quelle «parole» in un battibaleno hanno fatto aumentare di 100 punti lo spread. Una proposta per aria che ha dato materiale alla «speculazione finanziaria» di cui ha parlato ieri il premier.

E probabilmente ieri più d'uno, nella maggioranza gialloverde, si è accorto che la «retorica sovranista» fra qualche settimana, mese, non pagherà più. «Mi sento come Reinhold Messner sospira il ministro dell'Agricoltura, Gianmarco Centinaio che guarda verso la cima dell'Everest che deve scalare. Mi viene l'ansia!». Oppure il grillino Petrocelli, probabile presidente della commissione Esteri, che paradosso nel paradosso, per tenere insieme questa strana alleanza consiglia di affidarsi ai «tecnici». «Di Maio e Salvini è il suo ragionamento hanno fatto bene a puntare su Conte, un tecnico, proprio per evitare che uno dei due partiti prevalga sull'impostazione dell'altro. Una logica che abbiamo seguito per i ministri dell'Economia, degli Esteri, degli Affari Europei: il tecnico sa benissimo il recinto dentro il quale deve muoversi. E lo traduce in fatti, non in parole. Non come Bonafede, che si è presentato ministro della Giustizia con tanta teoria. Tante parole che provocano solo danni».

Il primo danno potrebbe essere proprio la divaricazione di una maggioranza che si tiene insieme con lo sputo e che ha il suo limite nei numeri ridotti che ha in Senato: una decina di voti, al suo esordio. Potrebbero aumentare, ma pure diminuire. Centinaio, che ha fatto il capogruppo leghista fino a ieri, punta sulla prima opzione: «Abbiamo 12 senatori di Forza Italia, pronti a passare con noi. E ne potremmo catturare anche altri». Ipotesi che fa scuotere la testa a un esperto d'aula come l'ex-presidente del Senato, Renato Schifani: «Hanno cominciato davvero male. Questi durano il lasso di tempo che va da Natale a Capodanno».

Vedremo. Di sicuro c'è solo il fatto che l'opposizione ha capito che deve inserirsi nelle contraddizioni della maggioranza. Berlusconi due giorni fa diceva peste e corna di Salvini. Poi, dopo l'incontro di lunedì con il ministro dell'Interno, ha dato un'altra indicazione ai suoi: «So che fanno paura, voteremo contro, ma sparate sui grillini e risparmiate i leghisti. Per ora il nostro deve essere un arrivederci». Mentre Renzi ha puntato l'indice minaccioso contro il giustizialismo grillino e non solo. «Quando sentiamo il nome di Davigo ha spiegato, stigmatizzando le uscite 5stelle sul tema noi rispondiamo con Cesare Beccaria e Enzo Tortora. Quando il ministro della Difesa Trenta sarà convocata dal Copasir e lei sa perché scoppierà un casino che non vi dico». Ma in fondo ha ragione Renato Brunetta: «O questo governo cade presto.

O quest'alleanza metterà radici, il Partito Unitario Populista».

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