La tregua è finita. Si riapre la caccia a Berlusconi, come ai vecchi tempi. Mettiamola così, in modo irrispettoso per la preda: è un buon segno, significa che l'uomo è ancora politicamente temuto, ritenuto in grado di tornare al comando per via elettorale dopo essere stato deposto per via giudiziaria.
Così, a tre giorni dalle elezioni siciliane, a poche settimane dal verdetto della Corte Europea sulla sua possibile riabilitazione e al via della campagna elettorale per le Politiche, riparte il ben noto circo degli ammazza-Silvio. Che questa volta era in difficoltà perché non è facile inventarsene una nuova dopo aver già passato in rassegna e contestato sia tutto il codice penale che quello civile.
Cerca e ricerca non si è trovato un nuovo reato, neppure una multa non pagata. E allora ecco che, all'ultimo, dalla spazzatura delle procure di Palermo e Firenze, riemerge una storia del 1993, talmente assurda che, sollevata per ben tre volte in venticinque anni, non ha mai superato la soglia delle indagini preliminari, sempre archiviata per assoluta mancanza non dico di prove, ma addirittura di indizi. È la storia che vuole Berlusconi e Dell'Utri mandanti delle stragi di mafia del '93 e che si basa su allusioni di due galantuomini. Il primo si chiama Gaspare Spatuzza, sicario di Cosa Nostra, autore di 40 omicidi e accusato di aver sciolto nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito. Il secondo è Giuseppe Graviano, il boss che azionò il detonatore dell'esplosivo che fece saltare in aria Borsellino e la sua scorta.
Per la verità Graviano non ha mai dichiarato alcunché, anzi, semmai ha sempre smentito le fantasie di Spatuzza. Ma - e qui starebbe la novità -, intercettato in carcere mentre parlava con un compare, avrebbe detto al riguardo di quei fatti una frase sibillina e, secondo gli inquirenti, pronunciato (ma non c'è certezza perché l'audio è confuso) il nome «Berlusconi». Interpellato, l'interessato ha negato, ma tant'è, l'occasione è ghiotta per avvelenare la campagna elettorale del redivivo Cavaliere. E chi è il regista di tutto questo? L'uomo si chiama Nino Di Matteo, pm di punta dell'antimafia palermitana, noto per le sue critiche politiche a Berlusconi e per le sue simpatie per il movimento di Grillo. Al punto di dare la sua disponibilità a fare il ministro in un eventuale governo Cinquestelle perché «è diritto di un giudice fare politica».
Riepiloghiamo.
Un pm dichiaratamente antiberlusconiano e filo-grillino che sta per entrare in politica attiva, come ultimo atto della sua carriera in magistratura e al via della campagna elettorale che lo vede schierato, innesca un'inchiesta infamante contro Silvio Berlusconi. E poi dicono che a inquinare la politica è la mafia...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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