Gli antichi dicevano “nomen omen” ossia: “Il nome è un presagio”. Insomma, per i nostri avi la scelta del nome era una cosa seria perché in esso è scritto il nostro futuro. Al giorno d’oggi, però, anche sul cognome c’è poco da scherzare. Perché sberleffi, dileggi e prese in giro possono condizionare la vita delle persone fino al punto di renderla impossibile.
Ed è proprio per questo che nella Capitale si è registrato un boom di cambi di cognome. Stando alle stime de Il Messaggero, infatti, si è passati dalle 500 richieste scarse nel 2012 a più di 900 nel 2017. Circa 3mila romani nell’ultimo triennio hanno deciso di modificare il proprio cognome. E anche a livello italiano, pur non essendoci una statistica nazionale, secondo il Viminale le richieste sarebbero raddoppiate.
La casistica è abbastanza sui generis e il minimo comun denominatore è quello di “evitare derisioni”. C’è chi per sottrarsi agli spernacchiamenti si è sbarazzato del cognome reso celebre dal ragionier Ugo, ovvero Fantozzi, e chi per le stesse ragioni ha detto addio ai cognomi Porco, Culotta e Chiapponi.
Nel caso di minor età, la trafila per la modifica delle proprie generalità viene affrontata dai familiari. È il caso dei signori Bocchino e della loro giovane figlia. La coppia si è rivolta alla Prefettura per mettere al riparo la progenie dalle facili ironie.
A ben vedere però anche i nomi, spesso, sono suscettibili di modifiche. E le motivazioni sono le più diverse. Van Cuong, ragazzo di origine vietnamita, ad esempio, ha chiesto di chiamarsi Matteo per “facilitare l’inserimento nel contesto sociale dove vive”.
Mentre Roberta vorrebbe chiamarsi Emma perché nel settore professionale in cui opera la conoscono così. Ualdzimir, invece, ha optato per Vladimir, più facile da scandire e a volerla pensare come i latini anche propizio per la “carriera internazionale”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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