Donne straordinarie

"Stanca di subire". E Rosa Park restò al suo posto

Un rifiuto che diede il via al boicottaggio dei bus di Montgomery nella lotta per la difesa dei diritti civili degli afroamericani. La storia della "donna straordinaria" che diede una scossa agli Stati Uniti

"Stanca di subire". E Rosa Park restò al suo posto

Un "no" che fece la storia. Una sola sillaba, che costò a una "donna straordinaria" l'arresto, ma che cambiò per sempre le condizioni degli afroamericani. Era il primo dicembre 1955 quando Rosa Parks rifiutò di cedere il proprio posto sul bus a un uomo bianco. Un gesto tanto semplice quanto coraggioso, che trasformò la donna in un simbolo della lotta contro la segregazione razziale in America.

Chi era Rosa Parks

Rosa Louise McCauley, divenuta Parks dopo il matrimonio, nacque in Alabama nel 1913. Fin da piccola, dopo la separazione dei genitori, andò a vivere in una fattoria appena fuori dalla capitale Montgomery insieme alla madre, al fratello e ai nonni materni. Rosa frequentò la scuola elementare di Pine Level, dove era costretta a recarsi a piedi insieme agli altri studenti afroamericani, mentre i bianchi venivano trasportati dai bus. "Vedevo passare l'autobus ogni giorno - scrisse poi nella sua autobiografia - Ma per me quello era uno stile di vita, non avevamo altra scelta che accettare quella che era l'usanza. L'autobus fu tra i primi modi con cui realizzai che c'era uno mondo nero e uno bianco".

Fin da piccola Rosa dovette imparare a convivere con azioni di bullismo, comportamenti diffidenti, episodi di esclusione e atti di violenza contro di lei, la sua casa e la scuola che frequentava. Già fin dai primi anni della sua infanzia, la madre le insegnò a cucire e a confezionare abiti e coperte, una capacità che tornerà a utilizzare per il suo lavoro di sarta. Nel corso della sua vita, svolse diversi lavori, tra cui collaboratrice domestica e ospedaliera, segretaria e sarta.

Nel 1932 Rosa sposò Raymond Parks, un barbiere di Montgomery già attivo nella difesa dei diritti civili, tanto da essere membro della National Association for the Advancement of Colored People (Naacp), un'organizzazione nata nei primi anni del Novecento per promuovere la giustizia per gli afroamericani e difendere i loro diritti negli Stati Uniti. Poco dopo anche la donna si unì all'associazione, diventandone la segretaria e divenne un'attivista. Iniziò così la sua battaglia di difesa dei diritti civili degli afroamericani.

"Separati, ma uguali"

La storia di Rosa Parks si inserisce all'interno del periodo della segregazione razziale negli Stati Uniti. Nonostante l'abolizione della schiavitù dopo la Guerra di Secessione, molti Stati decisero di emanare leggi ad hoc, legalizzando la differenza tra persone con la pelle bianca e persone di colore.

Nel 1890 una legge della Louisiana sancì il principio dei "separati, ma uguali", rendendo norma la segregazione delle persone di colore. Successivamente la separazione tra bianchi e neri venne legittamata dalla Corte suprema degli Usa nel 1896, quando si pronunciò sul caso di Homer Plessy, un uomo che a aveva viaggiato su un treno della East Louisiana Railroad in una carrozza riservata ai bianchi, rifiutandosi di cambiare posto. Per questo Plessy venne arrestato e incarcerato. La Corte confermò la decisione del giudice John Howard Ferguson, che aveva stabilito la legittimità dell'operato della compagnia ferroviaria e delle forze di polizia.

La regola della separazione si diffuse in tutti gli Stati: scuole, mezzi pubblici e persino bagni erano divisi tra settori o strutture a uso dei bianchi e quelli destinati alle persone di colore. Anche le fontanelle per bere avevano un doppio accesso, ben distinto. A Montgomery, a partire dal 1900, un'ordinanza aveva introdotto la separazione sugli autobus a seconda del colore della pelle: i primi dieci posti davanti erano riservati ai bianchi, i dieci posti più in fondo ai neri, mentre i 16 al centro potevano essere usati da entrambi. Ma, se i bianchi avevano bisogno di più posti rispetto a quelli del proprio settore, gli afroamericani avrebbero dovuto spostarsi nei sedili posteriori, stare in piedi o scendere dall'autobus. Dato che il settore misto non era fisso, all'autista bastava spostare il cartello con l'indicazione della sezione, per diminuire i posti riservati agli afroamericani.

Il rifiuto che cambiò la storia

Era il 1 dicembre del 1955. Intorno alle 18, la sarta 42enne Rosa Parks salì sull'autobus numero 2857 della Montgomery city lines, oggi conservato presso l'Henry Ford Museum di Dearborn, per tornare a casa dopo una giornata di lavoro. La donna prese posto su uno dei primi sedili del settore misto, dove potevano sedere sia persone bianche, che afroamericani. Alla fermata successiva, però, salirono a bordo altri passeggeri, la maggior parte dei quali prese posto nella sezione anteriore. Ma, alla terza fermata, tutti i sedili anteriori erano occupati e alcune persone bianche erano rimaste in piedi.

Così l'autista James F. Blake spostò il cartello che indicava la sezione mista di alcune file, chiedendo agli afroamericani che le occupavano di spostarsi. Tra loro c'era Rosa Parks, che si era inizialmente seduta in un posto appena dietro il settore anteriore. Nessuno si mosse. Ma quando l'autista chiese espressamente alle persone di colore di cambiare il proprio posto tutti si alzarono. Tutti tranne una: "No", pronunciò Rosa Parks quando l'autista le intimò di lasciare libero il sedile.

L'autista minacciò di far arrestare la donna. "Puoi farlo", disse Rosa, secondo quanto dichiarò lei stessa nella sua autobiografia. "E queste - aggiunse - sono le uniche parole che ci siamo detti". La polizia arrivò alla fermata dell'Empire Theatre, poco dopo le 18. "L'autista dell'autobus ha detto che c'era una donna di colore seduta nella sezione dei bianchi sul bus e che non voleva spostarsi dietro", si legge sul verbale redatto quel giorno. Di fronte al netto rifiuto della Parks, la polizia la arrestò, sostenendo che avesse violato "l'articolo 6, sezione 11, del Montgomery City Code", la legge sulla segregazione razziale.

Rosa Parks venne scarcerata poco dopo, grazie all'intervento del presidente della sezione di Montgomery del Naacp, Edgar Nixon, e di un avvocato bianco e antirazzista, Clifford Durr, che pagò la cauzione. Ma l'arresto della donna aveva ormai messo in moto un meccanismo impossibile da fermare.

Il boicottaggio dei bus

La notizia del fermo si diffuse velocemente tra la popolazione afroamericana. Non solo. La vicenda infatti arrivò anche all'orecchio di Martin Luther King, il pastore protestante divenuto poi leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani. L'attivista organizzò un incontro con i rappresentanti delle comunità afroamericane, dove venne deciso un sistema di protesta pacifica, seguendo il principio della non violenza, per difendere i diritti civili.

Si arrivò così a stabilire che il giorno 5 dicembre 1955 nessun afroamericano avrebbe dovuto utilizzare gli autobus. I leader avevano previsto un'adesione del 60% al boicottaggio, ma quel giorno la maggior parte delle persone di colore decise di non prendere gli autobus, tanto che alcuni dovettero viaggiare completamente vuoti. La popolazione afroamericana infatti rappresentava più del 75% dei passeggeri. Il boicottaggio non si esaurì quel giorno e assunse dimensioni sempre più ampie e diffuse.

Pur di non prendere gli autobus, la popolazione afroamericana si spostava a piedi o grazie all'aiuto di tassisti di colore, che avevano abbassato le loro tariffe a quelle del biglietto del pullman. Per mesi, decine di autobus pubblici rimasero inattivi, causando un ingente danno economico alle compagnie di trasporto pubblico. Poi, dopo 382 giorni di protesta, la Corte Distrettuale degli Stati Uniti stabilì che la segregazione forzata dei passeggeri afroamericani sugli autobus di Montgomery era illegale, perché violava la Costituzione. Nel 1956 la Corte Suprema confermò questa decisione, rendendo esecutiva l'ordinanza che aboliva la distinzione tra passeggeri bianchi e di colore.

Dopo il suo arresto, Rosa Parks divenne un'icona del movimento per i diritti civili e continuò a combattere a favore della comunità afroamericana. Per questo ricevette molte minacce di morte e le venne negato il lavoro, tanto che dovette trasferirsi a Detroit.

Nel 2005 la donna che sfidò i bianchi morì per cause naturali, ma il suo coraggio rimane impresso della storia, come quella scintilla che ha saputo incendiare gli animi, in difesa dei diritti civili. "La gente dice sempre che non ho lasciato il mio posto perché ero stanca, ma non è vero - scrisse nella sua autobiografia - Non ero stanca fisicamente, o non più stanca del solito alla fine di una giornata lavorativa. [...

] No, l'unica cosa di cui ero stanca, era subire".

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