Coronavirus

Primo paziente trattato coi monoclonali. Bassetti. "Ora abbiamo un'arma in più"

Al San Martino di Genova curato un 71enne con problemi cardiaci. Bssetti: "Ora che ci sono, usiamo i monoclonali"

Primo paziente trattato coi monoclonali. Bassetti. "Ora abbiamo un'arma in più"

Gli anticorpi monoclonali entrano ufficialmente a far parte in Italia delle terapie per il trattamento del Covid-19. Con la determina, che porta la firma dell’Agenzia Italiana del Farmaco, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 9 marzo scorso, sono state definite le modalità e le condizioni di impiego dell’anticorpo monoclonale bamlanivimab. Pochi giorni dopo la pubblicazione, il 18 marzo, il trattamento ha trovato applicazione in Liguria, su un uomo di 71 anni che ha contratto il coronavirus. Il paziente con patologie cardiache, è stato sottoposto alla somministrazione degli anticorpi a partire dal terzo giorno dalla scoperta della sua positività al Sars-CoV-2 e adesso seguirà il corso del trattamento in casa.

La somministrazione degli anticorpi è stata eseguita all’interno della clinica malattie Infettive San Martino di Genova sotto la direzione del professor Matteo Bassetti. “Finalmente- spiega su il Giornale.it il virologo-possiamo utilizzare i monoclonali e spero che possano davvero essere un’ulteriore terapia complementare rispetto a quelle che già abbiamo”. Fino ad oggi le terapie usate per combattere l’infezione da coronavirus si sono basate sull’uso in ospedale dell’antivirale Remdesivir, ovvero il farmaco sviluppato per curare l’Ebola e dimostratosi efficace anche contro la Sars. È stato usato anche il cortisone, per alcune situazioni particolari, non solo in ospedale ma anche a casa. Infine l’eparina, per evitare i fenomeni trombo embolici. I monoclonali si inseriscono nell’ambito di una terapia che si segue a casa grazie alla collaborazione tra gli ospedali e i medici generali del territorio. Questo consentirà non solo di impedire lo sviluppo delle forme più gravi della malattia ma anche di lasciare liberi maggiori posti letto e di terapia intensiva negli ospedali.

Come funzionano gli anticorpi monoclonali

I monoclonali sono degli anticorpi che hanno il compito di riconoscere batteri e virus permettendo all’organismo di agire per neutralizzarli. Gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario dell’essere umano sono tantissimi, diversi miliardi,ma non tutti reagiscono in modo efficace contro la stessa tipologia di patogeno. Per debellare una specifica malattia inoltre ne devono essere prodotti tanti in poco tempo, come nel caso del coronavirus. E questo è molto difficile. Appunto per tale motivo, la produzione artificiale di monoclonali rappresenta un valido supporto per contrastare il Covid.

Rimane fondamentale però rispettare delle tempistiche specifiche. Essi vanno usati nella fase precoce della malattia, prima che si inneschi la “cascata infiammatoria” come accaduto appunto col paziente del San Martino. Il trattamento coi monoclonali non è limitato esclusivamente al momento in cui si rileva la positività al Covid ma, in alcuni casi, può essere utilizzato in via preventiva proprio come il vaccino. Nello specifico, in quelle persone che riconoscono di aver avuto dei contatti con persone affette dalla malattia, che versano in particolari condizioni di salute e che sono appunto a rischio di essere rimaste contagiate. Le circostanze verranno valutate e decise di volta in volta dagli specialisti. Ma al momento, nonostante il via libera dell’Aifa, in Italia si va a rilento.

monoclonali

“L’Italia è partita in ritardo ma adesso bisogna usarli”

“Il messaggio che rivolgo a tutti è quello di utilizzare i monoclonali per offrire maggiori opportunità ai cittadini di tutte le Regioni”. È questo l’appello che lancia il professor Bassetti che prosegue: “Mi arrivano telefonate in cui mi si dice che non tutte le Regioni si sono organizzate in tal senso. Adesso che i abbiamo i monoclonali noi clinici dobbiamo usarli. Non si può dare più la colpa al sistema della politica. A Genova- prosegue il virologo- abbiamo una partnership che funziona tra medici di medicina generale, infettivologi e ospedali. Occorre che questo ci sia anche altrove. Per chi, tra medici, volesse prendere visione del nostro protocollo, può chiederlo, saremo ben lieti di condividerlo”.

L’Italia rispetto agli altri Paesi europei e agli Stati Uniti è partita in ritardo con l’utilizzo dei monoclonali. Lo scorso ottobre, in concomitanza con l’inizio della seconda ondata, c’era stata la possibilità di poter usufruire di circa 10mila dosi che avrebbero permesso di curare molte persone. Tanti pazienti si sarebbero potuti salvare e,allo stesso tempo, si sarebbero resi anche disponibili diversi posti nei reparti di terapia intensiva. L’ok dell’Aifa è arrivato solo lo scorso 3 febbraio. “Ora che i monoclonali ci sono – dice Bassetti - occorre utilizzarli”. In tutto questo il direttore del San Martino puntualizza come sia importante procedere con la campagna di vaccinazione: “le verifiche su AstraZeneca potevano essere fatte senza interrompere la vaccinazione.

Con lo stop, seppur di qualche giorno, le persone hanno recepito un messaggio errato e adesso hanno paura a fare il vaccino”.

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