Cronache

La scomoda lezione di Muti

I veri maestri, alla fine, sono quelli che parlano quando serve, consegnandoci insegnamenti assennati, senza retorica, senza curarsi degli applausi, senza preoccuparsi di cosa sia utile e a chi

La scomoda lezione di Muti

I veri maestri, alla fine, sono quelli che parlano quando serve, consegnandoci insegnamenti assennati, senza retorica, senza curarsi degli applausi, senza preoccuparsi di cosa sia utile e a chi. Come Riccardo Muti. Ieri il Maestro è salito su un podio online, intervenendo in videoconferenza al convegno dedicato al rilancio del Sud e organizzato a Palermo dal ministro Mara Carfagna. Ogni parola, una sentenza. Muti ha ricordato il mondo del teatro e della musica, vanto dell'Italia, «che ora piangono per tante ragioni»: eccellenze, soprattutto al Sud, che sono in crisi, dimenticate, «perché c'è poca attenzione per la cultura». Uomo del Sud, nato a Napoli da madre napoletana e padre pugliese, Muti, da vero maestro, ha preso la questione dal basso, partendo dal folklore, per arrivare in alto, parlando della Cultura con la «C» maiuscola: «Chi pensa alle bande, per esempio, che sono il vanto dell'Italia meridionale? Ragazze e ragazzi che sono alla fame e a cui non si dà alcuna importanza. Ma queste bande sono state il veicolo della cultura operistica del Paese». E infatti se i nostri nonni e padri conoscono la Norma o Rigoletto è perché le hanno sentite suonare dalle bande di paese. In Italia - è il j'accuse di Muti - quando si parla di musica «si fa riferimento al pop, a quella leggera, mai un accenno alla musica con la M maiuscola, che i ragazzi studiano con sacrificio nei conservatori e che poi non trovano lavoro». Muti ha parlato per tutti - musicisti, ballerini, coristi, tecnici - tranne che per se stesso: «Ormai sono vecchio, la mia carriera l'ho fatta...». E gli altri? Cosa hanno fatto finora i nostri intellettuali? Se hanno parlato di cultura - molti sono stati zitti - è stato pro domo loro: tutti ultrarigoristi nel primo lockdown, soprattutto nel mondo dell'arte e dei teatri, sono diventati improvvisamente aperturisti nel secondo, quando hanno capito che cominciavano a rimetterci economicamente per i musei e le sale chiuse. E lasciamo stare i politici. Ieri il ministro Dario Franceschini per dire qualcosa di culturale ha dovuto attaccarsi allo share della fiction su Leonardo da Vinci con un melanconico tweet: «Gli ascolti hanno premiato un'altra volta la scelta di unire storia, bellezza e Italia». Questo è quanto. Per il resto il Governo ha dimenticato tecnici e artigiani del settore (orchestrali, ballerini, cantanti, così come stampatori, rilegatori o mosaicisti, ceramisti, corniciai, ebanisti...) e men che meno ha intenzione di riaprire subito i luoghi della Cultura: scuole, prima di tutto; e poi biblioteche, teatri, musei, cinema. Oltre alla retorica (come quella sulle librerie come «farmacie dello spirito», sic) ci sono solo parole vuote.

Contro cui quelle di Muti fanno ancora più clamore.

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