Se un ricercatore vuole riscrivere la storia d'Italia

Il terrorismo come un "cold case"

Se un ricercatore vuole riscrivere  la storia d'Italia

Si riapre il lungo e ancora inedito dossier sui cosiddetti «anni di piombo», vale a dire lo scontro angoscioso e sanguinoso fra Stato e terroristi comunisti che si erano dati il nome di «brigatisti rossi» con la riapertura dell'indagine su quel che avvenne nel «covo» di via Fracchia a Genova dove quattro membri delle Brigate rosse (fra cui una donna, Annamaria Ludman proprietaria dell'appartamento) furono uccisi dai corpi speciali del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. L'inchiesta è stata riaperta dal procuratore di Genova Francesco Cozzi su denuncia di Luca Grasso, un ricercatore universitario che ha ottenuto e studiato il rapporto dell'allora capitano Michele Riccio che guidò l'assalto nella notte del 28 marzo 1980. Grasso sostiene che almeno uno dei brigatisti uccisi, Riccardo Dura, non morì durante lo scontro a fuoco ma fu giustiziato inerme con un colpo alla nuca.

Bisogna avere non meno di cinquantacinque anni avere memoria di quel sanguinosissimo scontro voluto dal generale Calo Alberto dalla Chiesa, poi barbaramente trucidato a Palermo con sua moglie Emanuela Setti Carraro, quando era prefetto del capoluogo siciliano dove custodiva documenti mai più rintracciati sui legami fra Brigate rosse e servizi dello Stato, nella sua cassaforte.

Quello di via Fracchia fu l'episodio che mise fine alle attività delle Brigate rosse le quali di fatto si arresero poco dopo in seguito al fallito rapimento del generale americano James Lee Dozier, liberato dopo quarantacinque giorni di prigionia nel gennaio del 1982. A portare i carabinieri nel covo di via Fracchia fu il primo grande pentito della banda armata delle Brigate rosse, Patrizio Peci, il cui fratello Roberto fu fucilato da un vero plotone d'esecuzione brigatista, esecuzione che fu filmata e diffusa in tempi in cui ancora non esisteva internet. Il caso del pentimento di Patrizio e dell'assassinio per rappresaglia di Roberto Peci, costituì uno degli atti finali di una guerriglia cominciata all'inizio degli anni Settanta con il rapimento del giudice Mario Sossi e che insanguinò l'Italia per oltre un decennio, con un'ecatombe di servitori dello Stato e giornalisti, assassinati a freddo per il valore simbolico delle loro morti. La più famosa delle vittime fu Aldo Moro, il segretario della Democrazia cristiana che avrebbe dovuto di lì a poco essere eletto presidente della Repubblica, rapito e trucidato nel bagagliaio di una Renault nel maggio del 1978 dopo quaranta giorni di interrogatori mai rivelati.

L'irruzione dei corpi speciali in via Fracchia, in cui rimase ferito il maresciallo Rinaldo Benà, si concluse con un bilancio mai visto prima nella lunga lotta fra Stato e brigatisti rossi: i quattro terroristi furono uccisi nell'appartamento in cui avevano il loro covo e domicilio: fu una strage che tutta l'opinione pubblica considerò un avvertimento ai brigatisti ancora attivi per far sapere che lo Stato aveva deciso di colpire senza fare più prigionieri.

Il ricercatore universitario Luca Grasso ha lavorato per molto tempo sul rapporto ancora segreto sui fatti di via Fracchia e si è rivolto alla magistratura chiedendo di indagare sulle vere circostanze dell'uccisione di Riccardo Dura che, secondo quanto risulta dai documenti esaminati sarebbe stato giustiziato con un colpo alla nuca e dunque deliberatamente assassinato. Il procuratore di Genova Francesco Cozzi ha dichiarato «un atto dovuto» la riapertura dell'inchiesta.

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