Se si muore più in bicicletta che in auto

Se si muore più in bicicletta che in auto

C'è l'ex maglia rosa di Valerio Conti a tirare il gruppo. Ed è una tappa importante quella da vincere che vale più del Giro, più del Tour, più di tutte le corse messe insieme. In gioco c'è la sicurezza dei ciclisti, ci sono le vite di chi pedala e non solo in gara, c'è una strage che continua. Secondo l'International Transport Forum l'Italia è il Paese con il più alto tasso di mortalità per km pedalato. Una guerra che ogni anno nei 17mila incidenti che coinvolgono le biciclette fa oltre 260 morti e 18mila feriti. Tantissimi, troppi. E allora il Giro prova a farsi sentire con la campagna #rispettiamoci che arruola Ivan Basso (un'altra maglia rosa) come testimonial e che coinvolge anche Aci e gli istruttori del Centro di guida sicura Aci-Sara di Vallelunga con un decalogo per automobilisti e ciclisti, chiamati a condividere la strada in sicurezza. Spot in tv, opuscoli nelle scuole, adesivi Aci da attaccare sulle auto per fare attenzione quando si aprono gli sportelli. Non basta perché la mobilità ciclistica cresce ma parimenti non crescono le infrastrutture e il senso civico di chi crede ancora che automobilisti, motociclisti e ciclisti siano tribù in guerra, tutti contro tutti a conquistarsi i territori con insulti, minacce, risse e dispetti. E invece mobilità (...)

(...) è un piano organico che deve avere come obbiettivo quello di rendere le strade più vivibili e sicure.

E così, proprio mentre il Giro e i ciclisti si mobilitano, questo mese di maggio registra ancora una lunga serie di disgrazie. Quasi un record. Il 9 maggio a Treviglio muore Gabriele Raffa travolto da un'auto su una provinciale ad alto rischio. Cinque giorni dopo durante una granfondo in Versilia a morire è invece Roberto Silva, patron dell'azienda di detersivi Chanteclair, che si schianta contro un'auto trovata sul percorso e due giorni dopo a Mantova la stessa sorte tocca a Simone Bacchiega, 54 anni, lui pure falciato da un'auto.

La lunga scia nera si chiude il 18 maggio a Roma, sulla Tiburtina, dove un ciclista di 54 anni muore sotto le ruote di un Tir. Strage infinita che in qualche modo dev'essere interrotta.

Migliorando la sicurezza sulle strade, con controlli più serrati che puniscano l'uso degli smartphone alla guida (prima causa di incidente) e con nuove «regole di ingaggio» come quella che presto dovrebbe essere inserita nel codice della strada e fissa in un metro e mezzo la distanza da rispettare quando si sorpassano i ciclisti. La via è questa. Ed è la via che sta percorrendo il Giro d'Italia ma non solo perché c'è chi, come Paola Gianotti, la prima donna ad avere fatto il giro del mondo in bici, su questi temi si batte da sempre.

Lo scorso anno ha corso davanti al gruppo tutte le tappe della corsa Rosa e quest'anno sta facendo la stessa cosa: chilometri di applausi, incontri, strette di mano che servono a denunciare e fare parlare di sicurezza. O come Marco Scarponi, il fratello di Michele che proprio in un incidente stradale è morto due anni fa a Filottrano.

Con la sua Fondazione dal quel «maledetto» 22 aprile si batte per far sì che ciò che è successo al fratello non

succeda più. Un lavoro quotidiano e appassionato che è soprattutto una battaglia di civiltà ma che a qualcuno evidentemente dà fastidio. Tant'è che proprio in questi giorni ha ricevuto insulti e minacce. E siamo punto e a capo.

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