Quella "società" che non ha alcun limite etico

Quella "società" che non ha alcun limite etico

Luciano Violante, ex magistrato, esponente di spicco della sinistra italiana (è stato anche presidente della Camera) ha messo in guardia ieri durante una lectio magistralis all'università di Pisa dal debordare del potere della magistratura: «In Italia ha detto - sta nascendo una società giudiziaria, ci deve preoccupare questa concezione autoritaria per cui il codice penale è diventato la Magna Carta dell'etica pubblica». Per Violante lo cita come esempio i senatori avevano quindi il legittimo diritto di votare contro la decadenza del loro collega Augusto Minzolini, condannato in via definitiva per fatti amministrativi risalenti al tempo della sua direzione del Tg1.

Del caso Minzolini, delle sue forzature, ambiguità e anomalie (è stato tra l'altro condannato da un giudice ex parlamentare del Pd) abbiamo già detto. La novità è che un riconosciuto e autorevole giurista di sinistra lo usi per definire il male della «società giudiziaria». Vuol dire che la misura è colma e che quel cancro - diagnosticato vent'anni fa da pochi «medici» che avevano intuito le anomalie di Mani pulite e degenerato poi nell'antiberlusconismo - oggi ha metastasi praticamente ovunque. A pensarci, il grillismo (parola d'ordine: tutti ladri, onestà, onestà) è stato generato proprio dal clima di caccia alle streghe tipico delle «società giudiziarie». E su questo campa con la classica ipocrisia non per niente comune con la casta dei magistrati per la quale l'etica richiesta agli altri è ben superiore a quella concessa a se stessi. Per cui un avviso di garanzia alla Raggi vale meno di quello a Lotti, per cui le firme false nella presentazione delle proprie liste (nuovo caso ieri a Roma) sono il nulla mentre quelle degli avversari sono un crimine.

La «società giudiziaria» per sé non ha limiti etici. Ieri è solo l'ultimo esempio - il procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, capo della discussa inchiesta (molto politica) sulle acciaierie Ilva, e da pochi mesi in pensione, si è candidato sindaco di quella stessa città sostenuto da Rifondazione comunista.

Ancora una volta viene azionata la porta girevole che mette in incestuosa

comunicazione la politica e la magistratura. Una «concezione autoritaria della vita pubblica», la definisce oggi Luciano Violante, che pure quella porta anni fa la attraversò. Ma proprio per questo viene da credergli sulla parola.

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