"Sono un cretino, non un assassino". Oggi la sentenza su Bossetti

"Sarò anche uno stupido, un ignorantone, un cretino ma non sono un assassino. Questo sia chiaro a tutti". Lo ha detto Massimo Bossetti nell'aula del processo a Bergamo per l'omicidio di Yara Gambirasio

"Sono un cretino, non un assassino". Oggi la sentenza su Bossetti

"Sarò anche uno stupido, un ignorantone, un cretino ma non sono un assassino. Questo sia chiaro a tutti". Lo ha detto Massimo Bossetti nell'aula del processo a Bergamo per l'omicidio di Yara Gambirasio. Il muratore di Mapello sta rilasciando dichiarazioni spontanee prima che i giudici si ritirino in camera di consiglio per la sentenza.

"Accetterò il verdetto qualunque esso sia perché verrà pronunciato in assoluta buona fede ma ricordatevi che se mi condannerete sarà il più grave errore giudiziario di questo secolo", ha aggiunto Bossetti. Che poi ha aggiunto: "Io l'ergastolo lo sto già facendo, mi rendo conto che è molto difficile assolvere Bossetti ma è molto più difficile condannare un innocente, sarei felice di incontrare i genitori della piccola Yara, i signori Gambirasio, di guadarli negli occhi perché conoscendomi saprebbero che l'assassino è ancora in libertà e questo sarà per loro un motivo di vero dolore".

L'attesa è finita: tra poche ore, salvo sorprese, i giudici della Corte d'Assise di Bergamo emetteranno il verdetto. È l'ultimo atto del processo di primo grado - 45 udienze nel corso di un anno - in cui accusa e difesa si sono duramente fronteggiate, dove innocentisti e colpevolisti non si sono risparmiati colpi bassi e le telecamere sono rimaste fuori dalla porta. Un caso giudiziario e mediatico accessibile a poche decine di curiosi e a giornalisti armati di accredito e solo di carta e penna. Difficile prevedere quanto durerà la camera di consiglio dove i due togati e i sei giudici popolari si riuniranno per decidere il verdetto: ergastolo con isolamento diurno per sei mesi come chiesto dal pm Letizia Ruggeri, una condanna 'ammorbidità da possibili attenuanti per il muratore incensurato o la libertà immediata dopo due anni in carcere.

Tanti gli elementi di un'inchiesta, racchiusa in 60 faldoni, che ha come prova regina il Dna. La pistola fumante per l'accusa, un colpo a salve per la difesa. La traccia mista - forse sangue - trovata sugli slip e sui leggings della 13enne scomparsa da Brembate il 26 novembre 2010 appartiene alla vittima e a 'Ignoto 1' poi identificato in Bossetti. Ma in quella traccia il Dna mitocondriale (indica la linea materna, ndr) non corrisponde all'imputato. "Un'anomalia che non inficia il resto: solo il Dna nucleare ha valore forense", sostiene l'accusa. Un "mezzo Dna contaminato" la cui custodia e conservazione "sono il tallone d'Achille" di un processo "indiziario", ribattono i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini. E' un'indagine faticosa, con numeri record e che non trascura nessuna pista, quella che porta a identificare il padre naturale di Bossetti (Giuseppe Guerinoni di cui sarà necessario riesumare la salma), quindi la madre che ha sempre negato la relazione clandestina.

Un percorso che dimostra la genuinità dell'inchiesta: "Si è partiti da un Dna che non si conosceva" per arrivare a un uomo "nato e cresciuto in queste zone. Non sapevamo chi fosse, non era un sospettato, e ciò sgombra il campo dall'idea di voler trovare a tutti i costi un colpevole", le parole del pm Ruggeri nella sua requisitoria. Provette e reperti di cui i legali di Bossetti contestano i risultati e che, in ogni caso, "sarebbero un indizio non preciso di un contatto e non di un omicidio". Un delitto non premeditato senza testimoni oculari, in cui resta ignoto il movente, dove si può ricostruire solo in parte quanto accaduto. E il corpo di Yara, trovato il 26 febbraio 2011 in un campo abbandonato di Chignolo d'Isola, a restituire la trama dell'aggressione - colpita alla testa e accoltellata più volte con armi mai trovate morirà di stenti dopo una lunga agonia - a conservare possibili indizi di chi l'ha portata via mentre dalla palestra tornava a casa. A incastrare Bossetti ci sarebbero altri elementi: i passaggi del furgone davanti al centro sportivo e le fibre tessili sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; le sferette metalliche su Yara che rimandano al mondo dell'edilizia o l'assenza di alibi e il suo tentativo di fuga il giorno dell'arresto. Indizi su cui la difesa ribatte mettendo in dubbio anche il luogo dell'omicidio. Il furgone immortalato non è di Bossetti e l'allineamento degli orari delle telecamere non combacia con i tempi dell'accusa; le sfere e le fibre non riconducono con certezza all'imputato, il quale non è mai scappato.

Sarà il presidente della corte, Antonella Bertoja, a leggere la sentenza. Anche per la lettura del dispositivo le telecamere resteranno fuori, dopo le minacce indirizzate al pm e alla corte. Quello di oggi è il primo passo per conoscere la verità sull'omicidio della giovane ginnasta.

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