Sovraffollamento in carcere, lo Stato condannato ​a risarcire un detenuto

Per la prima volta in Italia il giudice di un Tribunale civile ha condannato il ministero di Giustizia a risarcire con oltre 9mila euro un detenuto costretto in una cella troppo piccola

Sovraffollamento in carcere, lo Stato condannato  ​a risarcire un detenuto

Il ministero della Giustizia è stato condannato a risarcire con oltre 9mila euro un detenuto costretto a vivere in una cella troppo piccola. Per la prima volta in Italia il giudice di un Tribunale civile ha pronunciato una sentenza di questo tipo.

È accaduto a Lecce, in Puglia. L'avvocato Alessandro Stomeo che, col collega Salvatore Centonze, è da tempo in prima linea sul fronte del rispetto dei diritti dei detenuti, si dice soddisfatto del risultato ottenuto: "Con l'introduzione della legge 117/2014 e la sua applicazione - afferma - finalmente si chiude una battaglia che va avanti da 4 anni”.

Il giudice Federica Sterzi Barolo, come previsto dalla legge, ha accertato che, nel caso in questione, sia stato violato l'articolo 3 Cedu (Corte europea dei diritti dell'uomo), sulla base della ristrettezza dello spazio vivibile all'interno della cella. Spazio che deve necessariamente essere superiore a tre metri quadrati per recluso.

Nel caso in questione il detenuto è stato costretto a dividere con altri due una prigione di circa 11,50 metri quadri, con una sola finestra, un bagno cieco senza acqua calda, il riscaldamento in funzione d'inverno per una sola ora al giorno, e le grate chiuse per ben 18 ore. Non solo, il terzo dei letti a castello presenti nella cella si trovava inoltre a soli 50 centimetri dal soffitto.

La causa è arrivata inizialmente davanti al magistrato di Sorveglianza che, per primo, aveva quantificato il danno subito. Di lì a poco, però, la Cassazione penale, su istanza dall'avvocatura dello Stato, ha stabilito che il magistrato di Sorveglianza può accertare la violazione, ma non quantificare o liquidare il danno derivato, indicando il Tribunale civile come l'unico competente a stabilirlo.

Anche la Corte europea nel frattempo si è pronunciata, e ha imposto all'Italia di eliminare la condizione di sovraffollamento e di prevedere una norma che consenta, a chi ha subito il trattamento disumano, di ottenere un risarcimento. È entrata così in vigore la legge 117/2014 che, recependo l'imposizione di Strasburgo, ha introdotto l'articolo 35 ter della legge 354/1975. La norma prevede che il magistrato di Sorveglianza, accertata l’eventuale violazione dell'articolo 3 Cedu, risarcisca con lo sconto di un giorno di pena (ogni 10 espiati) i detenuti. Se il soggetto che ha subito il danno al momento della pronuncia è già in libertà, invece, gli spetteranno 8 euro al giorno.

In questo secondo caso, quando il detenuto è libero, l'istanza deve essere proposta al Tribunale civile che deve accertare la violazione dell'articolo 3 e quindi risarcire nella misura indicata.

Da qui la sentenza del giudice del Tribunale civile di Lecce che, accogliendo il ricorso dell'avvocato Stomeo, ha condannato lo Stato a risarcire un

detenuto italiano con 9.328 euro per un periodo di 1166 giorni scontati tra il dicembre 2006 e il giugno 2013. Dopo l'entrata in vigore della legge a questa pronuncia ne seguiranno molte altre.

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