Terrone (e tanto meno l'affettuoso terun) non è un'offesa. Ma un'indicazione geografica, territoriale, volendo peggiorativa, ricordata dai dizionari in questi termini: «Appellativo con cui gli Italiani del Nord chiamano spesso quelli del Mezzogiorno; tratto dalle espressioni terre matte, terre ballerine, si carica spesso d'una connotazione spregiativa». E, proprio perché nessuna legge è sacra, è ingiusto che nel nostro Codice penale vi sia ancora il vilipendio del capo dello Stato secondo il dettato dell'articolo 278, anche se mitigato dal legittimo diritto di critica, che può essere esercitato anche nei confronti del capo dello Stato, ma che trova un limite nel decoro e nel prestigio del medesimo. Dunque la legge è sbagliata. Ed è stata anche applicata scorrettamente dai magistrati dei tre gradi di giudizio che hanno condannato a 18 mesi di carcere il senatore Umberto Bossi, nonostante l'insindacabilità delle opinioni espresse nelle sue funzioni, in base al prevalente articolo 68 della Costituzione.
Ma il problema è lessicale: Terun non è un insulto; e, geograficamente, il presidente Napolitano è un meridionale. Può essere poco elegante, ma non è offensivo.
In ogni caso io lo dico e, se il direttore di questo giornale ha il coraggio di consentirlo, non temo una analoga condanna. Anzi chiedo (e lo farò formalmente) all'attuale presidente della Repubblica, meridionale anche lui, la grazia per Bossi in primis e, preventivamente, per me e per Sallusti.
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