T utti conosciamo due motti, celebri: «La storia si ripete» e «La storia è maestra di vita». Sono entrambi veri. Le grandi vicende dell'umanità si ripetono sempre uguali perché come quelle degli individui hanno in ogni epoca gli stessi ingredienti. Lotta per la sopravvivenza, per il potere, per la difesa o l'imposizione del proprio modo di essere, per il denaro. Ci sarebbe dunque molto da imparare dalla «maestra di vita», se le prestassimo attenzione. Se non che la storia insegna in una classe di asini, disattenti, poco studiosi o convinti ogni volta di poter fare meglio di quanto sia stato fatto nel passato, almeno di passarla liscia.
Un esempio calzante sono i grandi capi, buoni o malvagi che siano stati. Tutti, da Napoleone a Hitler, sono caduti perché hanno voluto costringere i popoli a correre, ad affrontare sfide insostenibili, perché le volevano vincere per se stessi nell'arco della loro breve vita. E tutti, come ragionier Rossi qualsiasi, sono crollati sotto il peso che hanno imposto ai loro popoli in sfide smisurate.
Non possiamo finora definire Donald Trump un grande capo, né forse lo potremo mai. Ma diamo per acquisito che non sia un cultore della storia, come la stragrande maggioranza dell'umanità, che considera un bell'oggetto inutile nella vetrina di un antiquario. Però è un uomo di successo, che è riuscito a realizzare probabilmente più di quanto avesse sperato nei suoi sogni di ragazzo. Qualcosa della storia americana dovrà pur conoscere, e ricordare che 45 anni fa proprio domani ebbe inizio il caso Watergate, che costrinse il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon a dare le dimissioni per non subire l'impeachment, una messa in stato d'accusa che lo avrebbe portato a essere destituito. Gli americani, che noi europei continuiamo a considerare dei giocherelloni, non scherzano affatto sulla democrazia, sulle regole e sulla giustizia, oltre che su molti altri aspetti della vita pubblica.
Ebbene, l'«asino della storia» Trump che allora aveva l'età della ragione, 26 anni - si trova indagato per una possibile ostruzione alla giustizia, la stessa ipotesi di reato che fece cadere Nixon: il quale, come lui, era detestato dalla metà degli americani quanto amato dall'altra metà, ma di certo non era un presidente da poco.
Trump, invece, deve ancora dimostrare che vale (se vale) e, per colmo di beffa, gli capita che sia stato il medesimo giornale a provocare i due casi, il Washington Post. In attesa di giudizi più gravi, lo rimandiamo a settembre in storia. Se ci arriva, a settembre.@GBGuerri
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