Cronache

Lo zio e il nipote. I reclutatori della porta accanto

Fra Ciriè e Lanzo, nel Torinese, dove sono stati fermati due dei giovani aderenti all'Isis "I 'gigiadisti' qui? Ma va". E il padre dell'albanese: "Se mio figlio è un terrorista l'ammazzo io"

nostro inviato a Ciriè (Torino)

A scuola, al bar, al campo di pallone. Assieme a noi, accanto a noi. Chissà come si dice in arabo Ciriè. O anche Lanzo, Lanzo Torinese. Suonerà male probabilmente. Suonerà come una nota stonata. Come suona stonato per la gente di qui, temere che ci sia qualcuno e qualcosa che non c'entra con queste terre. Il primo impatto la dice lunga: «Terroristi o, come cavolo si chiamano gigiadisti, qui? Vogliamo scherzare. Ma che sta dicendo?». Sobbalza il benzinaio all'ingresso di Ciriè e, sobbalzando, versa un po' di diesel anche sulle mie scarpe.

Ma tant'è, c'è di che sobbalzare. Perché adesso, stare qui tra la gente, camminare tra la gente di questo paesotto di meno di ventimila abitanti che, all'improvviso, sarebbe diventato il centro di reclutamento degli aspiranti soldati e «martiri» del Califfato non è invero esaltante. «Mio figlio è un bravissimo ragazzo, ci metto la mano sul fuoco. Ma se è un terrorista lo ammazzo io», tuona agitando le mani per la rabbia, Idajet Elezi, il padre di Elvis, il ragazzo albanese arrestato proprio con l'accusa di essere un reclutatore di jihadisti per l'Isis. Elvis vive in un appartamentino al 67 di corso Martiri della Libertà, qui a Ciriè. In famiglia, come tutti i ragazzi che non vogliono schiodarsi di casa, con il padre e con la madre Liliana. Proprio come tanti altri ragazzi di Ciriè della sua classe, che con lui hanno giocato almeno una volta al pallone e che con lui hanno cincischiato al bar. E che di lui, adesso non vogliono parlare. Tranne Mauro, suo compagno di scuola, che, tenendo la testa bassa ripete, cantilenando: «Siamo amici, impossibile, impossibile, non ci credo». Ma la madre di Elvis vuol dire la sua: «Certo non è un mistero che noi siamo musulmani - ci dice la signora Liliana - ma non faremmo male a nessuno. Anzi se lo volete scrivere, scrivete che all'Italia dobbiamo dire solo grazie. Anche perché la gente di qui ci vuole bene e la Caritas ci sta aiutando, perché mio marito è disoccupato da cinque mesi». Sposti lo sguardo di undici - chilometri - undici, e la musica (stonata) non cambia. Anche qui, nel microcosmo degli stessi tavoli a cui siedono i cinquemila abitanti di Lanzo Torinese, la sensazione è la stessa. Ci si conosce tutti. Eppure quel giovane marocchino, Madi El Halili, 23 anni, operaio in una ditta di materie plastiche, si sarebbe preso la briga qui, proprio qui, di tradurre un documento di 64 pagine, inzuppato di propaganda dell'Isis e lo avrebbe diffuso in rete. Un testo dal titolo già evocativo: «Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare» dove si racconta la vita nelle città sotto il dominio del Califfato in Siria e Irak, e lo si descrive come uno Stato spietato con i nemici ma che dà protezione e benessere ai suoi cittadini. Madi, secondo le indagini, era molto attivo su internet e avrebbe preparato a novembre scorso il documento subito ripreso e rilanciato da diversi «navigatori», attraverso Facebook e siti vari.

Ma restiamo a Ciriè, dove Elvis Elezi si era iscritto all'istituto professionale D'Oria. «Le dico la verità, sono esterrefatta - sottolinea più volte la preside, Maria Costantino - e adesso solo a pensare di che cosa lo accusano mi viene la pelle d'oca. Elvis frequentava il corso di elettronica e si era inserito perfettamente. Certo non c'era in aula all'ora di religione perché è musulmano, ma è sempre stato un ragazzo attento e disponibile e non ha mai dato alcun tipo di problema dal punto di vista disciplinare, proprio non mi aspettavo che potesse avere simpatie per l'Isis».

Eppure Elvis con lo zio Alban Haki Elezi, 38 anni, residente in Albania, dove è stato arrestato, adesso è accusato di reclutamento con finalità di terrorismo. Zio e nipote, secondo gli investigatori, avevano individuato su internet un aspirante combattente da inviare in Siria, un giovanissimo italo-tunisino residente in provincia di Como e avevano cercato di convincerlo ad aderire al Califfato. In serata, a complicare il quadro, rimbalza da queste parti la notizia che sono indagati a piede libero altri due giovani marocchini, un ragazzo di Alpignano e una ragazza di Torino.

Chi glielo spiega adesso a questa gente basita che mi sta intorno.

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