Quella zona grigia fra Stato e famiglia

Quella zona grigia fra Stato e famiglia

Una storia come quella di Bibbiano non te la spieghi, ci trovi dettagli che sono oltre l'umano. Ma per provare, almeno provare, a capire come può succedere un fatto del genere devi ricordare queste parole: «Ho la certezza al cento per cento di aver inventato tutto. Tutta la storia che io ho raccontato agli assistenti sociali, alle psicologhe, ai giudici, io sono sicura che quelle cose non mi sono mai successe». Sono parole di Marta, il nome non può che essere inventato, è ormai adulta quando pronuncia questa frase. Lei è una delle vittime del caso dei «diavoli della Bassa modenese». Era una bambina quando raccontò che i suoi genitori seviziavano e uccidevano altri bambini durante truci riti satanici. Fu allontanata dalla sua famiglia su ordine di un tribunale, insieme ad altri 15 bambini, e non vi fece mai ritorno: c'era voluto troppo tempo per capire che quei racconti erano frutto della suggestione indotta da psicologi e assistenti sociali, ossessionati dal satanismo. Le scosse elettriche, come quelle messe a verbale nelle indagini sul caso emerso ieri, sono fin troppo. Sono bambini, solo dei bambini spaventati, quelli strappati a casa loro e immessi in una procedura, un meccanismo ordinati da norme e gestiti da uffici.

La volta di Marta era il 1998. Tra Massa Finalese, epicentro di quella tragica storia, e Bibbiano, il paese dove è emerso il nuovo orripilante caso di bambini rubati ai genitori con la forza della legge, ci sono appena ottanta chilometri. Come è possibile che l'orrore si ripeta a così poca distanza e due volte in vent'anni? È la domanda chiave di questa vicenda. Perché sul singolo caso non si può che essere garantisti. Ma è il fenomeno che fa paura. Ci sono leggi che regolano l'allontanamento dalle famiglie, ovvio. Ma è altrettanto inevitabile che su un terreno così scivoloso, alla macchina burocratica, cioè i servizi sociali e la giustizia che ti entrano in casa e decidono per decreto la tua capacità di essere genitore, sia riservata tanta discrezionalità. Assistenti sociali e psicologi che compilano relazioni, procuratori minorili che decidono se il caso merita di finire davanti a un giudice, tribunale dei minori che stabilisce la «limitazione della potestà genitoriale» o, nei casi più estremi, la «decadenza». Che, tradotto dal tribunalese, significa che non sei più padre o madre, perché non ne sei capace. O perché sei una persona che fa schifo. O, perlomeno, c'è qualcuno che ne è convinto. E c'è un bambino che non è più un figlio.

L'affido a famiglie o comunità può durare anni, anche decenni, fino alla maggiore età. E nel frattempo, la zona grigia si allarga, perché una volta usciti dalla famiglia tutto diventa più sfumato, più labile. Specialmente per famiglie che non hanno i mezzi economici o culturali per difendersi. A una coscienza liberale, a una società fondata sulla famiglia, questa macchina che estrae bambini non può che suscitare diffidenza, di più: paura. Ma è un meccanismo di tutela di cui non si può fare a meno, perché i genitori inadeguati, o peggio, esistono. Ma di mezzo c'è una valutazione che risente anche di «tendenze» culturali. Di recente, ad esempio, c'è una spinta a togliere i figli a genitori mafiosi. Tutto ovvio, tutto «normale»?

Nella pubblica amministrazione ci sono tanti professionisti attenti, scrupolosi. Ma anche altri fedeli alla classica regola: nel dubbio, mai assumersi responsabilità. La legge lo dice esplicitamente: se una delle persone che fanno parte di questa catena «sbaglia», lascia un bambino a una famiglia «sospetta» e poi al piccolo succede qualcosa, la responsabilità è di chi ha deciso, di chi non ha capito, non ha visto o non ha saputo vedere. Chi alla professionalità e all'umanità preferisce la fuga dai guai è spinto dal sistema a scegliere la soluzione più drastica: l'allontanamento.

E poi ci sono gli interessi privati: i numeri dei bambini dati in affidamento continuano a crescere e i servizi sociali affidano un pezzo del meccanismo a cooperative, case famiglia, servizi esterni. Un mondo che non può essere criminalizzato senza distinguo, ma in cui non mancano le ombre.

Anche perché le case famiglia possono ricevere fino a tremila euro al mese e più per ciascun «ospite». Le famiglie meno circa 400 euro.

I trentamila bambini in affido (oltre metà in comunità), se finiscono in mano a persone senza scrupoli, a chi guarda solo al guadagno e a una burocrazia timorosa e disattenta, rischiano di diventare merce. Ostaggi di una zona grigia che vale un miliardo di euro l'anno. Se anche questa storia dovesse sgonfiarsi e dissolversi, e c'è da sperarlo, che almeno sia l'occasione per accendere un faro su quella zona grigia.

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