Cuba in finale, Usa a casa l’ultima vendetta di Fidel

Rivoluzione nel baseball: al primo mondiale dei pro un’altra delusione americana. E i caraibici si giocano il titolo col Giappone in California

Cuba in finale, Usa a casa l’ultima vendetta di Fidel

Elia Pagnoni

Avevano preparato tutto per bene. Dopo centocinquant’anni di baseball, avevano finalmente capito che si poteva mettere in scena un vero mondiale, con tutti i migliori professionisti delle Major league. Avevano messo a disposizione tutta la loro esperienza per organizzarlo. Avevano persino gentilmente «prestato» un po’ di giocatori (con nonni pugliesi o siciliani) alla povera Italia, per permetterle di non sfigurare. Avevano studiato un calendario che avrebbe garantito alla loro nazionale di evitare le big latino-americane (Repubblica Dominicana, Venezuela, Cuba, Portorico) fino alla finalissima. Ma non avevano fatto i conti fino in fondo con se stessi: gli Stati Uniti inventori del «batti e corri» si sono visti strappare di mano il loro giocattolo, la prima coppa del mondo dei professionisti, organizzata dalle Major league che fino a ieri si sono sempre sentite depositarie assolute del baseball mondiale.
Ma anche in questo sport (dopo il basket e l’hockey) è arrivata l’ora della rivoluzione. A far suonare il campanello d’allarme era già stato il Canada durante la fase eliminatoria, poi la Corea del Sud e il Messico hanno completato l’opera, piegando il Dream Team messo insieme dagli americani e lasciandolo addirittura fuori dalle semifinali. Così che al Petko Park di San Diego, il nuovissimo impianto costruito apposta per ospitare le fase finale del mondiale pro, la nazionale a stelle e strisce non ci è mai arrivata. Una beffa tremenda per il baseball americano, paragonabile a quella subita dall’Inghilterra quando decise per la prima volta di partecipare a un mondiale di calcio (correva l’anno 1950) e gli inventori del football vennero battuti niente meno che dagli Stati Uniti.
Le più grandi stelle del «passatempo nazionale» americano, da Roger Clemens a Derek Jeter, da Ken Griffey ad Alex Rodriguez, che grazie al doppio passaporto aveva tradito la Repubblica Dominicana, sua terra d’origine, sono rimasti a guardare le semifinali in tv, scoprendo che i maestri sono altri: i giapponesi trascinati dall’idolo di Seattle, Ichiro Suzuki, i sorprendenti sudcoreani dai lanci «sottomarini», la favoritissima Repubblica Dominicana, l’isola dei Caraibi che è il maggior fornitore delle Major league, ma soprattutto l’oggetto misterioso Cuba, la nazionale di Fidel Castro che da sempre domina la scena tra i dilettanti (25 titoli mondiali e 3 olimpici) ma che nessuno aveva mai visto all’opera contro i professionisti, contro il meglio di questo sport a livello mondiale.
Ma la nazionale cubana, affidata alla guida di Higiño Velez, l’allenatore-santone che ha avuto una parentesi anche in Italia sulla panchina del Parma, ha fatto vedere che lo strapotere dimostrato negli anni era più che meritato, anzi è stato legittimato definitivamente dal successo di ieri in semifinale (3-1; sintesi su Sportitalia oggi alle 16) proprio contro i fortissimi dominicani, trascinati da Colon (miglior lanciatore dell’American league 2005), oltre che da Pujols, Ortis, Beltre, Alou, tutti battitori di punta del campionato pro americano.
E adesso sarà proprio la povera Cuba (che, tra l’altro, non utilizza i giocatori «fuggiti» in America negli ultimi anni) a sfidare il Giappone in finale, sotto gli occhi degli americani sorpresi e magari un po’ invidiosi. Con la speranza che la finale del mondiale non venga strumentalizzata politicamente da castristi e anticastristi, dopo che la diplomazia sportiva è già riuscita a sventare alla vigilia del torneo il veto posto dal Dipartimento del Tesoro che voleva impedire ai cubani l’ingresso sul suolo americano, perchè i premi che avrebbero percepito al mondiale avrebbero violato la legge sull’embargo a Fidel.

Ma i cubani avevano subito risposto che non erano al mondiale per arricchirsi e, anzi, che avrebbero devoluto i premi a favore delle vittime di New Orleans. Adesso non gli resta che vincere la finalissima di questa notte col Giappone. Sarebbe il delitto perfetto.

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