Niente carcere. S.Y., il senegalese clandestino che avrebbe visto gli agenti della polizia penitenziaria picchiare Stefano Cucchi, il geometra morto il 22 novembre sei giorni dopo larresto per spaccio di droga, è stato accolto ai domiciliari in una comunità per tossicodipendenti nelle vicinanze di Roma. Troppo rischioso per gli inquirenti tenere il supertestimone in una struttura carceraria: avrebbe potuto «subire pressioni psicologiche finalizzate alla ritrattazione ovvero al mutamento delle precedenti dichiarazioni anche in relazione allo stato di detenzione tuttora perdurante» da parte dei colleghi che venerdì sono stati rinviati a giudizio per omicidio preterintenzionale (oltre a tre medici del reparto di medicina penitenziaria del Pertini accusati di omicidio colposo). Il senegalese andrà tenuto al riparo da qualsiasi stress almeno fino a quando la sua testimonianza sarà assunta e «cristallizzata» in un incidente probatorio per avere valore di prova in dibattimento.
Intanto uno degli agenti indicati dalla procura come responsabili del pestaggio, Nicola Minichini, respinge le accuse. «Ma quali botte, quale pestaggio? A quel ragazzo abbiamo offerto anche il caffè - ha detto Minichini - e una sigaretta. Stava male e abbiamo chiamato il medico: dopo ludienza se lera presa con i carabinieri che lo avevano arrestato. Noi lo abbiamo avuto in consegna da loro quando è arrivato, e poi lo abbiamo dato in consegna alla scorta per il carcere». «Se cè qualcuno che intende piantare chiodi e cercare un capro espiatorio, ha sbagliato, si scelga unaltra croce - dice il legale dellagente, lavvocato Dario Perugini -. È fin troppo facile sbattere il mostro in prima pagina come è stato fatto per il mio assistito e i suoi colleghi. Questa vicenda è ancora allinizio e tanti particolari non tornano. A cominciare dal fatto che si è dato credito a un presunto supertestimone, spacciatore nonché immigrato clandestino».
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