Cultura e società

Follia Usa: via i figli ai genitori che negano il cambio di sesso

Se un bambino vuole dichiararsi una bambina e il padre (o la madre) non l’accetta è colpevole di abuso. Le conseguenze, sebbene non di rilevanza penale, arrivano all’allontanamento

Follia Usa: via i figli ai genitori che negano il cambio di sesso

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L’identità di genere è una caratteristica, non una scelta. Tema tornato d’attualità dopo che la California ha approvato quattro giorni fa la legge AB-957 che consente al giudice di decidere nell’interesse del minore, nelle dispute sul collocamento, tenendo conto anche dell’eventuale rifiuto di un genitore a riconoscere l’identità di genere del figlio, perché questo ne pregiudicherebbe la salute e il benessere. In altre parole, se un bambino vuole dichiararsi una bambina e il padre (o la madre) non l’accetta è colpevole di abuso. Le conseguenze, sebbene non di rilevanza penale, arrivano all’allontanamento. Mettiamo prima sul tavolo i fatti, che poi come gestirli è scivolosissimo. Ognuno nasce con un patrimonio genetico femminile (cariotipo 46XX) oppure maschile (46XY). Semplice. Poi, quando durante la pubertà si determina l’orientamento, può capitare in alcuni casi rari che esso non corrisponda al patrimonio genetico.
In Occidente siamo giunti, non oggi ma già negli anni ’70, a una posizione di civiltà ben condivisa. Chi ha un orientamento omosessuale non deve essere in alcun modo discriminato, deve godere del rispetto della comunità e deve poter sviluppare la sua vita e la sua sessualità compiutamente. Certo, con i limiti che la sua genetica pone. Ad esempio, se maschio non può procreare né partecipare a competizioni sportive femminili. Né i genitori né nessun altro possono pretendere che il ragazzo o la ragazza omosessuale viva una vita da eterosessuale.
Non possono perché sarebbe ingiusto, certo, ma soprattutto perché non è nelle facoltà del ragazzo o della ragazza. Possono fingere, ma non essere ciò che non sono.
La materia è delicatissima. Secondo Valentina Ruggiero, noto avvocato con lunghissima esperienza minorile, «è corretto che nell’adolescenza i genitori non impongano l’orientamento sessuale, perché ciò effettivamente sarebbe un pregiudizio alla sua crescita equilibrata.
Invece nell’età pre-puberale nessuno deve intralciare la formazione del minore, ponendolo di fronte a valutazioni e scelte sulla propria identità di genere».
È questo il punto. Il bambino deve vivere la sua infanzia libero da questioni che solo in adolescenza sentirà come proprie. Invece questa legge deriva da un movimento che ha già portato all’attenzione dei bambini della scuola primaria il tema dell’identità di genere, come scelta che potranno liberamente compiere. È una palese esagerazione e criticarla non equivale a negare a chi è omosessuale quei diritti sacrosanti della nostra civiltà. Purtroppo ancora oggi assistiamo a episodi drammatici, da parte di persone vili, spregevoli e spesso emarginate che sfogano il loro livore sui gay, anche in modo violento. Queste persone e le loro azioni vanno combattute e condannate, anche educando i ragazzi al rispetto dell’altro, quale che sia la sua diversità. Questa educazione però non può arrivare a negare che ci siano differenze o, peggio, che ci sia una natura, maschile o femminile chissenefrega, e poi una scelta da compiere, etero o omo.
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Perché sennò poi viene il sospetto che, stufi di sentirsi una minoranza discriminata, abbiano accarezzato l’idea di far saltare la maggioranza, stimolando dalla fanciullezza a valutare e scegliere l’omosessualità, così da essere meno minoranza.

Ma quanto è giusto rispondere alla violenza con la violenza, psicologica sui bambini poi? No, civiltà è rispettare le differenze, non annullarle.

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