Se si desse retta ai pettegolezzi, David Bowie è stato una via di mezzo tra uno spacciatore, un neonazista e una pornostar bisex. C'è molto di vero, in queste storie, ma anche molto di esagerato ad arte: dopotutto lui è il re dei trasformisti, un Fregoli del rock che già a metà anni '60 ammetteva di essere gay salvo poi ritrattare, poi confessare di essere bisessuale e infine smettere di parlarne. Di certo da Elizabeth Taylor a Bianca Jagger (ebbene sì, poi vedremo perché è così sorprendente), da Marianne Faithfull alla mamma di Slash, Ola Hudson, fino a Susan Sarandon («È straordinario», disse lei) e Amanda Lear («È l'unico uomo con cui sono andata a letto che fosse più truccato di me»), non si è fatto mancare nulla concedendosi persino due matrimoni. L'ultimo con la top model Iman, nel 1992. Il primo negli anni '60 con un'altra modella, Mary Angela Barnett, che ora è al Grande Fratello vip inglese e che la rockstar sposò «perché lei voleva un permesso di lavoro in Inghilterra, il che non è certo una buona base per un matrimonio. Infatti è durato molto poco». Poco prima di separarsi, lei perfidamente svelò una tresca tra suo marito e Mick Jagger allora sposato con Bianca (capite lo scandalo?). Secondo la vulgata, la canzone Angie dei Rolling Stones è ispirata alla moglie pettegola di Bowie. Secondo altre voci, non fu una relazione a due ma uno scambio di coppie tra le due rockstar e chissà come è andata davvero. Intanto David Bowie non si faceva mancare nulla.Droga, tanta droga. E, oscillando tra Lou Reed e Iggy Pop (conosciuti nello stesso giorno), precipitò nelle esagerazioni. Qualche testo conteneva allusioni a una sorta di nazionalsocialismo rinato, una specie di nuovo ordine mondiale che scatenò critiche e violentissime stroncature. Durante la composizione dell'album Station to station si ingolfò di letture su Hitler e il Terzo Reich (fu addirittura fermato con una grande quantità di cimeli nazisti) arrivando a dire che «Hitler è stata la prima vera rockstar» con tanto di speranze che il fascismo prendesse il potere in Gran Bretagna. Salutando il pubblico alla Victoria Station di Londra, nel maggio 1976, fu fotografato con il braccio teso. Forse fu la furbata di un fotografo che isolò uno scatto malizioso. Oppure era l'esito di una dose esagerata di cocaina. Di certo Bowie si scusò di questo approccio politico «molto immaturo», assunto tra l'altro poco dopo aver vissuto in Doheny Drive a Los Angeles. Allora nel menu quotidiano aveva, oltre alla droga, soltanto latte e peperoni ma mica tutti: solo quelli verdi. «Ero in uno stato di costante terrore psichico» disse. Arrivò a pesare quaranta chili, sostanzialmente uno scheletro. Ha impiegato più di trent'anni ad uscire dal cliché nel quale si era imprigionato con le proprie mani. E oggi, nel momento della morte, la sua grandezza di artista ha ormai offuscato tutto il resto. Persino l'Osservatore Romano, non proprio il più progressista dei quotidiani, lo piange come «una personalità musicale mai banale, via via costruita grazie alle frequenti incursioni in altre forme artistiche».
Una vera e propria promozione per un artista addirittura accusato di essere stato affascinato dall'occultismo. E una conferma che la grandezza dell'arte spesso tracima sulla personalità dell'artista. Rendendola innocua.PG- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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