Carissimo Alberto Clavarino,
cè un giornale, LUnione sarda, che ha scelto come gadget libri, film, documenti e guide con un logo e unintestazione che dicono tutto: «La biblioteca dellidentità».
Ecco, io - come ho già raccontato anche pubblicamente - invidio moltissimo quel giornale. Non perchè le promozioni del Giornale non mi rendano orgoglioso. Anzi, credo che le raccolte di libri che proponiamo ai nostri lettori siano in media di un livello straordinario e che perderle sia quasi un reato. Il punto è un altro: la mia invidia nei confronti di Sergio Zuncheddu, che dellUnione sarda è leditore e della «Biblioteca dellidentità» praticamente il padre e la madre, è quella di chi vede sì unottima idea. Ma anche un pubblico e un popolo, quello dei sardi, che ha nel Dna gli strumenti per recepire la proposta e che respira identità dalla nascita.
In Liguria, tanto per dire, i giornali hanno allegato come gadget piatti, dolcetti o magliette. Che non è propriamente la stessa cosa. A meno di considerare la linea di abbigliamento con la bandiera con la croce di San Giorgio o la scritta «Zena» una fortissima prova di identità. Oddio, è meglio che niente. Però.
Da qualche giorno sono meno invidioso dellUnione sarda. Perchè il dibattito che abbiamo aperto sulle pagine del Giornale va persino oltre la «Biblioteca dellidentità». Ogni giorno nuovi lettori dicono la loro sul senso di sentirsi liguri ed è incredibile la mole di interventi con cui ci state sommergendo. Il postino che consegna i sacchi ogni mattina, negli ultimi giorni ci guarda con un senso di malcelata antipatia negli occhi. Non lo biasimiamo affatto: le lettere di chi vuole intervenire nel dibattito sono molte e il sacco pesa ogni giorno di più.
Certo, tanti sono militanti del Mil, il Movimento indipendentista ligure di Vincenzo Matteucci e Franco Bampi. Certo, molti sono - come dice lei, caro Clavarino - personaggi interessati a una «diatriba assolutamente anacronistica». Certo, dedicare pagine allidentità ci costringe, per qualche giorno, a ridurre i nostri spazi di denuncia di tutto ciò che non va a Genova.
Ma, e qui sta il punto, il fatto che siamo riusciti a interessare tante persone - addirittura alcuni lettori lombardi del Giornale casualmente di passaggio in Liguria - a un dibattito alto e difficile come quello sullidentità, è una straordinaria vittoria. Oltre che lennesima denuncia di quello che non va in questa città. Ma è possibile che per parlare di cultura con la C maiuscola sia stato necessario che io andassi casualmente una sera a teatro allArchivolto e mi entusiasmassi di fronte al calore con cui Natalino Balasso e Marco Paolini traducevano in scena lorgoglio di essere veneto e la poesia di Luigi Meneghello? Ma è mai possibile che ci siano istituzioni e giornali che hanno a disposizione tempi, spazi e risorse immensamente superiori alle nostre e che fanno della liguritudine la loro ragione sociale e ignorano tutto questo?
Mi creda, caro Clavarino, la risposta a questa domanda retorica è anche la risposta alla sua domanda.
Mi lasci tromboneggiare almeno un po e vantarmi di una cosa. Un dibattito simile poteva nascere e crescere solo sulle pagine di questo Giornale di Genova e della Liguria. Sempre più nostro.
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