Il ritorno di Hitler (in libreria) spacca la Germania

Alla fine del 2015 scade il veto sulla pubblicazione di Mein Kampf. Politici, giudici e intellettuali si dividono. E i neonazisti si preparano

Il ritorno di Hitler (in libreria) spacca la Germania

La Germania alle prese con il passato che non passa. Il 31 dicembre 2015 scadrà l'esclusiva che il Libero Stato di Baviera detiene sui diritti d'autore di Adolf Hitler. Alla fine della Seconda guerra mondiale furono gli Stati Uniti, allora potenza occupante, ad assegnare all'amministrazione bavarese il diritto esclusivo sulle opere del Führer. Su tutte Mein Kampf, il manifesto ideologico pubblicato fra nel 1925 dal fondatore del nazismo: anticomunismo, militarismo, il bisogno uno «spazio vitale» all'Est sono i temi che scandiscono il testo, interamente pervaso da un feroce antisemitismo. Gli ebrei sono definiti «gli istigatori dell'annientamento globale della Germania», «padroni» di Francia e Gran Bretagna, «avvelenatori della razza ariana», e ancora «repellenti bastardi dalle gambe storte». Scritto con l'aiuto del prete cattolico Bernhard Stempfle (già direttore del quotidiano antisemita Der Miesbacher Anzeiger), dal dopoguerra il libro è fuorilegge in Germania e in Austria. Pochi giorni fa due eventi hanno rilanciato il problema dell'imminente passaggio a un regime in cui chiunque potrà, in teoria, ripubblicare Mein Kampf.
Riuniti in conferenza all'estremo nord della Germania, sull'isola di Rügen, i sedici ministri regionali della Giustizia tedeschi hanno convenuto che il testo è «un terribile esempio di scrittura disumana» e che la pubblicazione e la diffusione non commentate del libro «devono essere impedite anche dopo la scadenza del copyright». La conferenza dei ministri ha fatto appello alla giustizia penale invitando i procuratori tedeschi ad affrontare il tema. Saranno dunque i giudici a decidere in autonomia se una pubblicazione del programma hitleriano violi le leggi contro l'incitamento all'odio razziale. La politica tedesca vede dunque in un'edizione critica la via d'uscita dall'impasse fra libertà di espressione e norme contro l'apologia del nazismo, contro revisionismo e incitamento all'odio.
L'idea è nata a Monaco alcuni anni fa. Dopo aver organizzato una tavola rotonda con accademici, rappresentanti del mondo ebraico, sinti e rom, il governo bavarese incarica l'Istituto per la storia contemporanea (Ifz) di curare un'edizione annotata di Mein Kampf, «che ne spieghi le origini e il contenuto propagandistico», spiega al Giornale una portavoce dell'Ifz. «All'opera sta lavorando un team di storici, di esperti di ebraismo e di genetica (per confutare il contenuto razzista del testo, ndr)». Iniziato nel 2009, il lavoro non sarà completato prima del 2016. Costo dell'operazione: 500mila euro.
A inizio anno, è scoppiata la bufera sul progetto. Dopo un viaggio in Israele, il governatore bavarese Horst Seehofer ritira il patrocinio governativo concesso all'Ifz. A fargli cambiare idea è stato l'incontro con un gruppo di sopravvissuti ai campi di sterminio, inorriditi al pensiero che Monaco finanziasse la pubblicazione di Mein Kampf. Vietato nelle librerie tedesche, il libro è tutt'altro che introvabile. Lo si può scaricare da Internet, comprare su Amazon, trovare in soffitta o, sottobanco, da un rigattiere. «Ma il fatto che il mio vicino sbagli, non mi dà il permesso di fare lo stesso errore», afferma Yehuda Teichtel, rabbino della Comunità ebraica di Berlino. «Lo Stato deve essere un'ancora di moralità, non il seguace relativista di un comportamento sbagliato. Anche se le intenzioni di chi ne cura l'edizione critica sono certamente buone, il contenuto antisemita del libro percolerà nella società». Teichtel contesta «il tentativo di razionalizzare e legittimare l'odio. Le persone lo leggeranno e l'avversione riprenderà a circolare».
Nel giorno in cui i ministri si riunivano a Rügen, 900 chilometri più a sud l'Ifz organizzava un dibattito pubblico sul tema. «Il nostro obiettivo - riprende la portavoce - è demistificare l'opera». Nel Paese che ha organizzato lo stermino sistematico degli ebrei d'Europa, la pubblicazione di Mein Kampf non può essere ridotta a una scelta fra il sì e il no. «Il proibizionismo non funziona, ma è naturale che i sopravvissuti e il mondo ebraico soffrano all'idea di vedere quel testo in libreria», spiega Stephan Kramer. Segretario generale del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi per dieci anni, Kramer è il prossimo direttore dell'Ufficio europeo sull'antisemitismo voluto dall'American Jewish Committee. «La libertà di espressione può fare molto male e nei fatti quel testo oggi è usato dai neonazisti. Io non sono contrario a un'edizione critica, ma saremmo dovuti arrivarci prima della scadenza del copyright», e non, lascia intendere, in mezzo alla possibile alluvione di riedizioni nostalgiche.
Simulare scopi scientifici non è impossibile. Ci era già riuscito pochi anni fa un editore inglese (Peter McGee dell'Albertas) che, ricorda Kramer, ristampava in Germania i quotidiani tedeschi del 1933-45 inserendovi un semi-invisibile fascicolo critico. «L'anno prossimo si commemora il settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz: lasciamo che la gente sappia come siamo arrivati a tanto, evitiamo di conferire un'aura di mistero all'oggetto del male».

«Il neonazismo non è estirpato - continua Kramer - quindi è evidente che qualcosa in Europa non ha funzionato. Soprattutto inquieta il bisogno ultradecennale di impedire la pubblicazione di un libro: cosa pensa il governo tedesco della propria gente?».

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