Stéphan Hessel, il bisnonno arrabbiato degli "indignati"

Ai ragazzi che scendevano in piazza per protestare e spaccavano vetrine disse questo: "Non hanno capito niente del mio libro. Anzi, non l'hanno neppure letto. Io dico che bisogna ribellarsi alle ingiustizie, ma attraverso metodi pacifici"

È morto ieri a Parigi, a 95 anni, Stéphan Hessel, il pensatore, scrittore e diploma­tico tedesco naturalizzato francese che ispirò i movimenti di protesta di «Oc­cupy » e degli «Indignati» con il famoso li­bro- manifesto pubblicato nel 2010.

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I grandissimi successi, e a volte anche i giganteschi inganni, nascono spesso da piccole cose. Il pamphlet di Stéphan Hessel Indignez-vous! (Indignatevi!), uscito nel 2010, è una piccola cosa, una ventina di paginette piene di rabbia. Eppure (o proprio per questo) quel nuovo «libretto rosso» vendette 700mila copie in Francia (prima tiratura: 8mila copie...) e quasi 5 milioni in 35 Paesi, diventando un caso editoriale e politico mondiale a cui si è ispirato il movimento di «Occupy» negli Stati Uniti e degli «Indignados» in Spagna, rapidamente allargatosi, sull'onda della crisi economica, in mezzo pianeta.

Molto comunista ma allergico alla gauche caviar, Stéphan Hessel, lo scrittore e diplomatico tedesco naturalizzato francese (che nel 2011 cercò di bissare il successo editoriale e intellettuale con un altro libro, Impegnatevi), passò l'intera vita indignandosi e «impegnandosi». Sempre sulle barricate, sempre in difesa o contro qualcuno: nato a Berlino nel 1917 da famiglia ebrea, nel '38 riparò in Francia dove combattè come partigiano durante l'occupazione tedesca prima di essere catturato e rinchiuso nei campi di Buchenwald e Dora-Mittelbau. Dopo la guerra partecipò alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, del 1948. Nominato ambasciatore di Francia da François Mitterrand nel 1981, consacrò gli anni seguenti alla militanza a favore dei «sans papier» della causa palestinese (aderì anche al boicottaggio dei prodotti israeliani, e alle accuse di antisemitismo, rispose: «Mio padre era ebreo, sono scampato a Buchenwald, queste cose non mi sfiorano»). Rigidissimo sostenitore della gauche, nel 1986 aveva appoggiato Michel Rocard e nel 2009 si era presentato alle elezioni francesi con la lista «Europe Écologie», restando tuttavia membro del Partito socialista. François Hollande, ieri, ha reso omaggio allo scrittore definendolo «una grande figura la cui capacità di indignarsi non aveva limiti, tranne quello della sua stessa vita». Vita lunghissima, nel corso della quale, come racconta nell'autobiografia A conti fatti... o quasi, uscita in Italia da Bompiani l'anno scorso, «ho conosciuto, incontrato, scoperto molte cose, e vissuto le esperienze più varie. Un tale accumulo di memoria umana costituisce un tesoro di senso. E oggi posso permettermi di restituirlo tramite la mia testimonianza».

Figlio del traduttore tedesco di Proust, madre artista ispiratrice del personaggio interpretato da Jeanne Moreau in Jules et Jim di François Truffaut, nella sua (lunga) esistenza si è sempre schierato dalla parte dei deboli e dei dissidenti, ai quali alla fine ha urlato di indignarsi. Rischiando di passare per cattivo maestro. Col coraggio però di distinguere fra indignati e teppisti.

Nell'ottobre del 2011, dopo le bombe-carta e gli assalti ai blindati dei Carabineri in piazza San Giovanni a Roma, sentenziò: «Quei ragazzi non hanno capito niente del mio libro. Anzi, non l'hanno neppure letto. Io dico che bisogna ribellarsi alle ingiustizie, ma attraverso metodi pacifici». Contro le violenze, ma senza violenza.

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