«Altro che anime gemelle Viva gli amori “dispari”»

Se la cronaca è letteratura sotto pressione, gli spunti che la realtà ha offerto nel tempo a romanzi come Il libro dell'amore proibito, ultimo titolo di Mario Desiati (Mondadori, pagg. 198, euro 17,50) sono ormai innumerevoli. Una delle scene di apertura è una gang bang di cui parecchi adolescenti contemporanei non esiterebbero a caricare le immagini online e la passione masturbatoria che anima i quattordicenni di Martina Franca protagonisti del romanzo per le loro professoresse, prima la Tricarico di Educazione artistica, poi la Telesca di Tecnica, non è diversa da quella dei loro coetanei delle generazioni precedenti, non fosse che qui le professoresse soddisfano le fantasie dei loro studenti. La svolta di Desiati è nel seguito romantico che s'immagina per Francesco detto «Veleno» e la sua prof Donatella: il ragazzo l'aspetta, dopo che viene condannata per aver sedotto i suoi alunni, poi la «rapisce» con l'auto scassata dei suoi, subisce una nuova separazione da lei e l'aspetta ancora, finché, complice il tempo, quel che la unisce a lui è amore vero, più forte perché proibito dalla società giudice per tanti anni.
Come nasce questa storia?
«Dalla volontà di raccontare amori non convenzionali. All'inizio mi sono chiesto che cosa accade quando si tenta di frapporre un divieto fra due persone che si amano e volevo scrivere una raccolta di racconti, un catalogo degli amori proibiti: quello tra l'insegnante e un suo studente, fra un travestito omosessuale e una eterosessuale, tra religiosi, un incesto. Mentre scrivevo, il racconto di Donatella e Veleno mi è scoppiato tra le mani».
Adolescenti perversi: un tema di attualità, come si dice in questi casi.
«Si verificano di continuo casi di questo tipo, anche con risvolti tragici. Ma a me interessava raccontare un amore dispari, due persone che si conoscono in una situazione illegale perché il protagonista è minorenne e poi però l'amore nasce e cresce nella distanza. Un romanzo contro la ricerca dell'anima gemella».
In che senso?
«Nel senso della modulistica che ci è stata imposta per anni, magari da certi siti di incontri come Meetic: colore dei capelli, degli occhi, letture, età, addirittura reddito, compatibili e trovi l'amore della tua vita».
Qui, almeno all'inizio, Lolita è il maschio. Il tema suscita ancora morbosità?
«A partire da Nabokov è sempre stato narrato il contrario: l'interesse del maschio maturo per le ragazzine. Ma se ci fate caso, anche qui il centro è il maschio: è il quattordicenne che sogna la sua insegnate adulta e non il contrario, il movimento è uomo verso donna».
Un romanzo d'amore all'antica, in un piccolo paese del Sud: viene in mente la nuova raccolta di racconti di Buttafuoco. L'amore tradizionale è rimasto appannaggio di un certo territorio?
«Può darsi, ma credo si tratti anche di una questione economica».
Cioè?
«L'amore è una delle poche cose rimaste, uno dei pochi argomenti sicuri nell'assoluta precarietà del tutto. In un momento come questo, ci si concentra sui valori antichi, ci si aggrappa al discorso amoroso teneramente e disperatamente. Poi certo da meridionale gli do un peso che trascende e comprende luoghi, trasfigurazioni, tradizione».
Che fine hanno fatto Bauman e i suoi sentimenti liquidi?
«L'amore è stato il primo baluardo a cadere e il primo valore a rimettersi in sesto: si è piegato ma non si è spezzato. Tanto che oggi esiste anche un teorico di un romanzo come il mio. Si chiama Alain Badiou, è un lacaniano, e in Elogio dell'amore (Neri Pozza) sostiene proprio il successo degli amori dispari, tra persone del tutto differenti».
Ha lasciato da poco la direzione editoriale di Fandango: giro di poltrone?
«Diciamo che mi sono preso un periodo di pausa, in accordo con il mio editore. Di pausa dall'editoria, non da Fandango. Per un po' voglio starne lontano, lavarmi nello Stige, perdere la memoria, leggere un romanzo senza pensare come andrebbe spiegato alla rete di vendita. Ho bisogno di riconquistare l'innocenza dello sguardo. L'innocenza è tutto, in letteratura».
E innocenza a parte, qual è oggi la carta vincente di un buon direttore editoriale?
«Il cosmopolitismo. Avere il polso delle cose che accadono ovunque, non solo in Occidente.

In questo i giovani sono avvantaggiati, ma in Italia il ricambio avviene troppo lentamente: alle Fiere i nostri partner internazionali sono sempre almeno dieci anni più giovani. I collaboratori di Andrew Wylie hanno in media 23 anni. E a 40 di solito mollano tutto per aprire una loro agenzia».

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