"Basta con Gomorra Ecco la polizia sporca"

Il commissario Valenzi è l'antitesi di tanti agenti superimpegnati. Ed è nato scrivendo pezzi di cronaca

Classe 1975, giornalista per Il Mattino di Napoli, Marco Ciriello ha già pubblicato alcune raccolte di racconti, un resoconto di viaggio «pasoliniano» - Tutti i nomi dell'estate (Effigie) - saggi e i romanzi Pace alle acque e SanGennaroBomb (Mephite). Con Il Vangelo a benzina (Bompiani, pagg. 115, euro 15) ha fatto nascere il commissario Claudio Valenzi, rugbista, con un solo grande amore, il suo cactus, impegnato in un'indagine sulla strage di sei clandestini neri, compiuta per ordine del boss Casalese, sulla Domiziana, strada in cui si incontra di tutto: dai cecchini serbi ai camorristi e ai narcos, dai concorrenti del Grande Fratello ai killer sadomaso. E tigri, gorilla, pornodivi e senatori.

Come nasce il suo Valenzi?

«Dai poliziotti che ho incontrato come giornalista da Genova a Castelvolturno, ma anche da Montalbano e dai poliziotti televisivi. Quando ho deciso di raccontare la Domiziana così violenta e lontana dall'Italia ci voleva un poliziotto molto italiano. Come padre, Valenzi ha il personaggio creato da Elio Petri, il dirigente di Polizia di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto».

Valenzi avrà vita lunga?

«Avevo immaginato una trilogia. La prima parte è questa con i nigeriani, poi si prosegue con i russi e con i cinesi. Il resto dipende dai lettori. Volevo utilizzare un genere che va fortissimo per fare satira su Gomorra, sui poliziotti super impegnati. A leggere i gialli italiani sembra che la polizia del nostro Paese sia meravigliosa. Invece ha buonissimi investigatori ma anche grossi problemi sociali, di giustizia, di abuso. Poi mi interessava come nasce la letteratura della colpa. L'idea della Domiziana nasce da un reportage fatto insieme a Medici senza Frontiere: una sorta di Ellis Island clandestina in cui si parla o il dialetto, che è la lingua della camorra, o l'inglese, che è la lingua del commercio».

Che pensa di Montalbano?

«Credo che il mio sia un Montalbano nero, il contrario di quello che ha creato Camilleri, che conosco molto bene. Volevo fosse casomai simile al Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán: un poliziotto che potesse comprendere chi commette reati».

Troppi commissari in libreria?

«Il mio commissario è l'unico fascista di questi anni, l'unico italiano orgoglioso dell'Msi, contento di Pound e Malaparte, scontento di d'Annunzio e Marinetti. Vive in uno scenario da campagna d'Africa. Non ce ne sono altri così sul mercato. È dispari, non associabile a nessun altro commissario: da Montalbano puoi fare un albero genealogico».

Giallo e noir sono ancora generi?

«Non credo al genere, credo ai linguaggi uniformati. In Italia ad esempio c'è efferatezza negli omicidi e un rovinoso buonismo veltroniano nei personaggi. Che è quello che mi fa arrabbiare: in questo muore il giallo».

Il suo giallista sul comodino?

«Jean Patrick Manchette».

Il miglior giallo?

«Non vengo dal giallo. Mi hanno ispirato il Simenon non giallista, Malaparte, McCarthy. Ne faccio una questione di linguaggio, non solo di plot».

Chi vedrebbe nei panni di Valenzi?

«Un attore napoletano sconosciuto al grande pubblico, Antonino Iuorio».

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