Se vi preparate a fare un salto al Salone di Torino, sappiate che sentirete parlare soprattutto di uno scrittore morto. Uno che viveva come se fosse già scomparso, ma che verrà tenuto in vita ancora per parecchio, se il ritmo di produzione di materiali che lo riguardano rimarrà questo: stanno arrivando un docufilm, una biografia e una nuova traduzione firmata Matteo Bianconi per Einaudi dell'opera che lo ha consegnato alla storia, Il giovane Holden. A quest'ultima è dedicata addirittura una maratona di lettura, (11 maggio, ore 17,30), con Paolo Giordano, Joe R. Lansdale, Michela Murgia, Giuseppe Culicchia che leggono il nuovo Holden a partire dal nuovo incipit: «Se davvero volete sentirne parlare, la prima cosa che vorrete sapere sarà dove son nato, e che schifo di infanzia ho avuto...». E addio «infanzia schifa» della traduzione 1961 di Adriana Motti.
Quel che consola però, dopo aver consumato le novità, è che la vita di Jerome David Salinger (1919 - 2010) sembra destinata a rimanere il mistero che lui desiderava fosse. Anzi, sorge il sospetto che Salinger volesse rimanere un mistero proprio per evitare di doversi confrontare con questo modo di raccontarlo. A partire dalla locandina del film, che lo vede ammiccare disegnato in primo piano con un dito sulla bocca. Promette rivelazioni su di sé o chiede che se ne taccia per sempre? Chiariamone almeno un paio, di misteri, per quanto piccoli ed editoriali: la ponderosa nuova biografia, Salinger. La guerra privata di uno scrittore (in uscita l'8 maggio da Isbn, pagg. 750, euro 49, trad. di L. Bertolucci, P. Caredda) e il docufilm Salinger. Il mistero del giovane Holden (che verrà presentato da Feltrinelli e Nexo Digital insieme al libro al Circolo dei Lettori di Torino alle 18 dell'11 maggio, e che sarà nelle sale italiane per un solo giorno, il 20 maggio) sono parto della stessa mente. Quella del regista, produttore e sceneggiatore Shane Salerno (per il libro si è avvalso dell'aiuto di un professionista di «strutture biografiche», David Shields). Salerno di lanci globali se ne intende: a 22 anni era alla Universal TV, a 23 con Spielberg, a 25 sceneggiava Armageddon, tre anni fa ha garantito a Oliver Stone Le belve di Don Winslow e a 42 anni sta per mettere la firma sotto Avatar 4 insieme a James Cameron. Affrontare Salinger, libro+film, avrebbe dovuto essere un gioco da ragazzi. Soprattutto visto che, seconda rivelazione, la farina di biolibro e biopic non è del sacco di Salerno, ma dell'unico biografo che pare Salinger non abbia mai perseguito: Paul Alexander. La biografia è in attesa di traduzione e fu scritta nel '99, grazie agli archivi di Princeton, Yale, Harvard, Columbia, NYU e a interviste a George Plimpton, Gay Talese, Harold Bloom, Robert Giroux, Gordon Lish, Tom Wolfe.
Materiale di prim'ordine, anche se alla sua pubblicazione si disse di Alexander quel che si dice di Salerno: dove ci sono vuoti biografici, li si riempie con una certa libertà. La teoria portante sull'esilio di Salinger è la stessa per entrambi: la reclusione era un trucco per vendere, lo scrittore si mostrava ogni tanto per tenere desta l'attenzione. Come dimostra la storica foto del New York Post del 1988: Salinger prende a pugni l'auto del fotografo, chiaro esempio di «pubbliche relazioni». Altre teorie Alexander-Salerno sono la mai avvenuta guarigione di Salinger dalla sindrome post-traumatica postbellica e da una deformità fisica (aveva un solo testicolo) che lo resero un fanatico religioso e «l'evidente» attrazione per le donne «giovanissime»: Joyce Maynard, trent'anni meno di lui, con cui ebbe una relazione cinque anni dopo il divorzio da Claire Douglas; il divorzio stesso, avvenuto perché Claire era invecchiata; la relazione con la figlia di Eugene O'Neill, Oona, lei 17 (e lo lasciò per Charlie Chaplin), J.D. 23. Imprinting: una ragazzina mai dimenticata che Salinger incontrò a Vienna a diciott'anni e della quale scrisse a Hemingway.
Insomma, il materiale «scottante» era già tutto lì quindici anni fa. Eppure per assemblare il dossier di fotografie, lettere, diari, documenti e stralci di racconti inediti necessari al libro e alle due ore e un quarto di film, Salerno ha investito 9 anni per la produzione, 6 anni in «riprese segrete» e radunato oltre 100 volti e voci buone per una intervista. Una intervista spesso breve e distante anni luce dallo spirito salingeriano, come quella d'epoca in cui Mark Chapman dichiara di essere ossessionato da Holden (sottinteso: al punto da uccidere John Lennon). Ma, appunto, ottima per un lancio. L'atmosfera si intuisce già dal trailer, dove nomi e volti illustri sono quelli di Hollywood: Edward Norton, Martin Sheen, John Cusack, Philip Seymour Hoffman. L'unico presente nella biografia di Alexander a metterci di nuovo la faccia è Tom Wolfe. Le allodole saranno attirate, ma il massimo delle rivelazioni delle star è che questo scrittore era proprio bravissimo. Ecco, non foss'altro per i 60 milioni di copie vendute nel mondo, il sospetto ci era venuto.
Poi il contributo dei commilitoni della Seconda Guerra Mondiale, di familiari, amici, amanti, vicini di casa, compagni di scuola e colleghi del New Yorker. A interpretare Salinger è sempre un attore, che vediamo alla macchina da scrivere, a trascinare ciocchi per i monti, a scender le scale in ferro battuto dopo il rifiuto di Farrar-Strauss. Per pochi minuti però si rimane ipnotizzati: quando lo scrittore compare davvero, nell'unico spezzone conosciuto. Filmato durante la guerra, J.D. è alto, bruno, bellissimo, saluta le parigine che gli offrono fiori, timidamente ne accetta uno che appunta alla falda del cappello. Era il Salinger che si era fatto le spiagge della Normandia (con 60 pagine di Holden sotto l'uniforme); aveva visto troppi dei quasi 50mila morti della battaglia americana più lunga della storia, nella foresta di Hurtgen e apparteneva alla divisione che aprì alcuni dei cancelli di Dachau. Tutte storie già narrate nella biografia di Kenneth Slawenski. Anch'essa in attesa di traduzione.
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