«Belle statuine» da museo Ecco i venti superdirettori

Passerella del premier Renzi e del ministro Franceschini durante la cerimonia di presentazione dei dirigenti manager. Per ora nel ruolo delle comparse

«Belle statuine» da museo Ecco i venti superdirettori

da Roma

Di loro si è già detto tutto. Che gli stranieri sono troppi. Che non avrebbero i titoli. Che la scelta non è stata trasparente. Finalmente però, eccoli qui, tutti assieme, convocati nella Sala Crociera del Collegio Romano, i venti nuovi direttori dei più importanti musei italiani. Con tanto di piantina per riconoscerli e capire se davvero quel signore con gli occhiali vestito di grigio seduto a fianco di Anna Coliva è James Bradburne, il canadese che andrà a guidare la Pinacoteca di Brera.

Il più atteso è indubbiamente Eike Schmidt, lo storico dell'arte di Friburgo chiamato a dirigere gli Uffizi. Con la sua presenza monumentale sbarra il portone d'ingresso del Ministero. Anche lui però durante la conferenza stampa sarà ridotto a una figurina di fondale, soldatino di parata incassato tra gli scaffali della libreria monumentale, a fare da convitato di pietra assieme ai colleghi, mentre il premier Matteo Renzi strappa la scena a loro e al ministro Franceschini.

«La cultura è al centro del dibattito politico», attacca il capo del governo. «Non si è trattato solo di una fase “agostana”, buona per riempire i giornali. Abbiamo infatti un'emergenza davanti a noi, quella dell'appartenenza a una comunità... La cultura è la ragione d'essere della nostra comunità. È quel patrimonio di valori che tiene assieme un popolo. Negli attacchi all'Occidente non a caso si colpiscono i musei». Ricorda il legato dell'elettrice palatina, che lasciò i beni dei Medici alla città, e dunque allo Stato. Fa insomma sfoggio di cultura, un corollario e niente più forse al suo pedigree di uomo d'azione, abituato a tracciare la rotta. «Esiste una priorità: affermare un modello di museo più vicino a quello francese e anglosassone, e che si scosti dall'idea italiana di una fruizione pensata per un'élite selezionata che è quella che una volta faceva il Gran Tour. Oggi l'offerta va allargata a persone che non sono necessariamente colte, pensando a un modello organizzativo diverso». Un po' vago, un po' da bar sport, ma non sottilizziamo. Le buone intenzioni ci sono, anche quando gli chiedono come si possano tenere assieme esigenze di rinnovamento del personale museale e spending review. «I temi dei numeri della stabilità verranno definiti da qui al 15 ottobre, quando la legge entrerà in discussione al Senato. In merito al personale si pone un tema strategico. Nell'assestato del bilancio, le spese di personale della PA crescono da 87,3 a 89,5 miliardi di euro. È vero che la cifra non riguarda solo la cultura, ma investe molti settori, a cominciare dalla scuola, dove abbiamo fatto un forte investimento. Credo che esista uno spazio di razionalizzazione e di intervento. Su cui saranno gli stessi direttori a decidere, perché è necessario capire dove servono risorse e turn-over e dove si può invece fare qualcosa di diverso. Il ritornello “personale, personale, personale”, non ha senso. È giusto e importante valorizzare alcuni segmenti, come quello del restauro. Magari però servono meno amministrativi, e lì si può risparmiare qualcosa». E incalza: «Vorrei che la tutela diventasse anche un elemento da esportare come eccellenza del Paese, e crediamo che il Paese possa investirci».

Franceschini è un filo più tecnico. Entra nel merito delle ragioni della riforma. «Il quadro che abbiamo trovato era disarmante. I musei non esistevano giuridicamente, non avevano autonomia contabile, bilancio, statuto. Erano di fatto degli uffici delle soprintendenze. Abbiamo diviso le funzioni di tutela, e dunque le soprintendenze, dai musei. Che ora dipenderanno da una direzione generale. Avranno consiglio d'amministrazione e comitato scientifico. E gestiranno direttamente le loro entrate».

Resta da capire quale potrà essere l'apporto dei venti direttori a questo cambiamento. Qualcuno di loro incarna in maniera paradigmatica tutti i vizi e i limiti del vecchio sistema.

Molto del peso della scelta è stato d'altronde affidato alle intuizioni di Paolo Baratta, che da parte sua si avvia alla riconferma alla Biennale, con un terzo mandato per cui è servita una legge ad personam . A riprova che la cosa più difficile da cambiare sono sempre gli Italiani.

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