Cronache

Quel benzinaio-eroe costretto a chiedere perdono

La famiglia del bandito ucciso nel Vicentino chiede che Graziano Stacchio rinneghi il suo gesto

Graziano Stacchio
Graziano Stacchio

Graziano Stacchio non è un Rambo. È un cittadino mite. Ma essere «mite» non significa essere vile. Quando infatti Graziano vede qualcuno in difficoltà, non si volta dall'altra parte. Lui interviene. Questo non fa di lui un eroe. Ma semplicemente un cittadino perbene. Da additare a modello di comportamento. Non certo a mostro da mettere alla gogna. Graziano, 65 anni, di lavoro fa il benzinaio; e forse, proprio per questo, trova sempre il «carburante» giusto per alimentare il suo coraggio. Qualche anno fa Stacchio fu premiato con una medaglia al valor civile per aver salvato una ragazza finita con l'auto in un canale. Pochi giorni fa Graziano ha ucciso un bandito che teneva sotto tiro la commessa della gioielleria Zancan vicina alla sua stazione di servizio a Nanto (Vicenza): il benzinaio ha prima sparato in alto, poi, quando il rapinatore ha rivolto l'arma contro di lui, ha fatto fuoco uccidendolo. La dinamica è chiara. A confermarla ci sono pure le immagini delle telecamere di sicurezza. Una sequenza che convince tutti, ma non i familiari della vittima: Albano Cassol, 41 anni, morto dissanguato e abbandonato dai suoi complici, dopo l'assalto fallito al negozio di preziosi. Cassol viveva in un campo rom della zona, dividendo una roulotte con la moglie Cristina Albini e quattro figli. Cassol aveva numerosi (e gravi) precedenti penali, anche se ora c'è chi dice che «avesse messo la testa a posto»: ipotesi che mal si concilia con la rapina nel corso della quale ha perso la vita. Ma in un paradossale ribaltamento - tutto all'italiana - dei ruoli, ora è la famiglia Cassol a pretendere (e ottenere) le «pubbliche scuse» del benzinaio, il quale si ritrova indagato per «eccesso di legittima difesa».

A reclamare «giustizia», attraverso il proprio avvocato di fiducia, è la signora Albini che - bontà sua - precisa di «non volere alcun risarcimento dal del benzinaio, ma solo le sue scuse». Ma «scuse» per cosa? Per aver difeso chi si trovava sotto la minaccia di una rapinatore armato? Graziano ha capito di vivere in un Paese strano, e così davanti alle telecamere si è rassegnato (o è stato indotto?) a recitare un «mea culpa» fuori da qualsiasi logica, eccetto quella del buonismo demagogico più radical chic: «Mi dispiace di aver tolto la vita a un uomo che forse si è trovato costretto dal destino a fare ciò che ha fatto?». Capito? Al povero benzinaio hanno avuto il coraggio di far dire che, se uno rapina una gioielleria, la colpa non è sua, ma del «destino» o magari della società. Non solo, ma se qualcuno si azzarda a definire Albano Casson «rom» o «nomade», ecco che la sua famiglia va su tutte le furie: «I politici la smettano di attaccarci. Non siamo zingari, siamo nati a Montebelluna, a Treviso, a Vicenza, quindi siamo a tutti gli effetti "Razza Piave"». Stizzita la replica di Leonardo Muraro presidente della Provincia di Treviso: «Razza Piave, un emblema sacro al popolo veneto. I nomadi non saranno mai Razza Piave». Una contrapposizione a sfondo «antropologico» che, veicolata dall'ignoranza, potrebbe condurre a derive pericolose. E bene quindi sta facendo il Giornale di Vicenza diretto da Ario Gervasutti, a mantenere il caso e le polemiche che da esso derivano nell'alveo della correttezza e dell'onestà intellettuale. Sul web, invece, già circolano vignette pseudo «satiriche». Che speriamo qualche sindaco non trasformi in nuove t-shirt per aizzare la piazza. Nessuno ne sente il bisogno.

A cominciare da Graziano Stacchio che, saggiamente, chiede di «non essere strumentalizzato a scopi politici».

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