La Biennale «apocalittica» nasce sotto il segno di Marx

Guerre, disastri ambientali e «Il Capitale»: questi i temi della rassegna che aprirà in anticipo (a causa dell'Expo). Mancano i nomi degli ospiti e del responsabile del Padiglione Italia

La Biennale «apocalittica» nasce sotto il segno di Marx

Era il 2002 quando Okwui Enwezor venne chiamato a curare Documenta di Kassel, la mostra più importante d'Europa. Primo intellettuale di colore, perfetto interprete della nuova realtà globale, nativo nigeriano, formazione americana, messaggio chiaro a chi stava pensando a una chiusura dell'arte in termini localistici dopo l'11 Settembre.

Ma si sa che il fascino di Venezia è diverso, la sua unicità la rende vetrina cui tutti aspirano almeno una volta nella carriera. E infatti il punto di arrivo nel prestigioso curriculum di Enwezor è stato raggiunto ieri, annunciato alla stampa nelle sale di Ca' Giustinian insieme al presidente della Biennale Paolo Baratta. Si chiamerà All The World's Futures la mostra che aprirà quasi un mese prima del solito - il 6 maggio - vista la concomitanza con l'Expo milanese. In casi come questo la prima curiosità è nella lista degli artisti che sarà però comunicata a febbraio. Per adesso accontentiamoci del cosiddetto concept , e visto che Enwezor è il più teorico dei critici contemporanei si può già scommettere, come accadde nel 2002, che sarà una mostra più di pensiero che di opere. Dopo l'intuizione di Massimiliano Gioni di fondere e confondere passato a presente, l'edizione 56 di Venezia sembra almeno nel titolo tornare alla Biennale di Daniel Birnbaum, Fare mondi del 2009. E forse anche più indietro, visto che uno dei temi portanti è quello dell'Apocalisse e delle rovine che circondano il nostro paesaggio. Ci aspettiamo una lettura nuova, anche se il riferimento è all'Angelus Novus di Walter Benjamin, che «vide nell'opera di Klee ciò che di fatto non vi era espresso e nemmeno dipinto. Piuttosto interpretò Angelus Novus in maniera allegorica osservando la figura con un chiaro sguardo storico, mentre davanti a sé un'altra catastrofe si abbatteva sull'Europa in un momento di profonda crisi». «Come fare per afferrare appieno l'inquietudine del nostro tempo, renderla comprensibile, esaminarla e articolarla?» si domanda Enwezor parlando di commistioni tra i linguaggi e le arti che hanno reso possibile l'affermarsi di questi nuovi mondi futuri così instabili e incerti, seppur stimolanti. La mostra avrà tre fulcri teorici, anzi tre filtri sovrapposti dove (sono ancora sue parole) «lo stesso curatore insieme agli artisti, agli attivisti, al pubblico e ai partecipanti di ogni genere saranno i protagonisti centrali nell'aperta orchestrazione di questo progetto». Vi saranno quindi diverse opere relazionali e interattive.

Scritto in perfetto e parecchio irritante critichese, il materiale stampa non dice molto su cosa davvero sarà la prossima Biennale. I tre punti saranno comunque: vitalità, sulla durata epica; il giardino del disordine; il Capitale, una lettura dal vivo. Il primo tema prevede un programma di eventi live, immaginiamo rappresentazioni e performance, in continuo svolgimento cui parteciperanno opere site specific e di repertorio. Il giardino del disordine parte dal nome dello spazio espositivo per parlare dei cambiamenti dell'ambiente globale, metafora di un mondo disordinato, di conflitti nazionali e di deformazioni territoriali, tutto all'insegna dell'inedito. Quanto al Capitale, che denuncia il background culturale neomarxista di Enwezor, si annunciano davvero letture dal vivo dell'imponente opera pubblicata nel 1867 e tornata in auge anche per via del successo di Thomas Piketty.

In assenza di informazioni su chi esporrà, pessima mania di tener tutto segreto - solo i padiglioni stranieri annunciano con largo anticipo le scelte -, c'è un altro assente ancor più clamoroso: il Padiglione Italia, dato ormai per disperso. Toccherebbe al ministro della Cultura esprimere la propria scelta, ma al momento non si sa nulla tranne che questo governo è ancora più in ritardo dei precedenti, e il motivo non si capisce visto quanto Dario Franceschini sembra tenere al ruolo.

Chi verrà chiamato (alcuni ben informati sostengono che Andrea Bruciati, ex direttore della Galleria Civica di Monfalcone, sia in pole position, ma si parla anche di Cristiana Collu, direttore del Mart, e di Andrea Viliani, direttore del Madre), avrà sei mesi scarsi per progettare, trovare i soldi e realizzare la mostra. O lo sa e non lo dice o brancoliamo nel buio. Eppure la Biennale si tiene ogni due anni da sempre, programmare per tempo non sarebbe impossibile.

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