Un corpo scomodo, in cui la storia continua a inciampare. Il corpo di un leader che, con la sua fisicità prorompente, ha ammaliato gli italiani per vent’anni. Un simbolo incredibilmente potente, quasi cristologico secondo alcuni (tra i quali lo storico Sergio Luzzatto), ingombrante in vita come in morte. Anzi forse più in morte, dopo l’orrendo carnevale di sangue di Piazzale Loreto.
Parliamo ovviamente del Duce, del suo torace possente, della mascella volitiva, del cranio rasato su cui spesso era calato l’elmetto, e della necessità di profanare un cadavere, in un rito sacrilego e selvaggio (Pertini che con i fascisti non era tenero disse: «A Piazzale Loreto l’insurrezione si è disonorata»), che continuava a essere un’icona, un catalizzatore di istinti. È questo il tema, scomodo persino a più di sessant’anni di distanza dagli eventi, che sarà trattato stasera su Retequattro, nella trasmissione Apocalypse condotta da Giuseppe Cruciani. In questa prima puntata (ne seguiranno altre due) verrà, infatti, presentato in prima serata il documentario Il corpo del Duce, coprodotto da Retequattro e dall’Istituto Luce (regia di Fabrizio Laurenzi che si è ispirato proprio a un saggio di Luzzatto). Con filmati, mai visti in televisione, il film mostra le sequenze crude del trattamento subìto dalla salma di Mussolini, ed è corredato anche dalle ultime immagini esistenti del corpo. Quelle scattate nella questura di Milano il 14 agosto ’46. Fotografie rimaste occultate, in un faldone riservato del ministero degli Interni, per oltre mezzo secolo. Come mai? Perché subito dopo Piazzale Loreto, per volere del Cnl, il Duce fu tumulato in gran segreto in una fossa anonima nel Cimitero Maggiore di Milano. Non si voleva che la tomba diventasse oggetto di pellegrinaggio. Ma un anno dopo, nella notte del 23 aprile ’46, il corpo venne trafugato da un gruppo neofascista, capitanati da Domenico Leccisi, che ne reclamava una sepoltura più degna. Il cadavere venne poi recuperato dalla polizia. Le direttive che arrivano da Roma sono chiare: una cosa simile non deve più accadere (tra i neo fascisti c’era stato anche chi farneticava di resurrezione). La salma è rinchiusa in un baule, ripiegata su se stessa e ormai ridotta a una mummia. Il corpo fu occultato per oltre 11 anni in un luogo conosciuto solo dai vertici dello Stato (un convento dei cappuccini a Cerro Maggiore), chiuso in una cassa di sapone.
Sono immagini molto crude e la scelta di mandarle in onda in prima serata ha richiesto un certo coraggio, come spiega al Giornale il direttore di rete, Giuseppe Feyles: «Non è facile programmare la storia in prima serata e in piena garanzia. Ma i documentari che proponiamo, alcuni in prima visione assoluta, meritano questo rischio. Raccontare il passato, infatti, aiuta a capire il presente». Anche il conduttore della trasmissione Giuseppe Cruciani è conscio dell’impatto di queste immagini. «Sono immagini forti, dure... ma è giusto guardarle e vanno contestualizzate sull’epoca dei fatti... E poi c’è il legame con l’oggi su cui riflettere, assomigliano a quelle della morte di Gheddafi... I dittatori quando cadono finiscono così».
Ma forse di fronte alle immagini di quel corpo, adorato quanto vilipeso, che tanto ha pesato sulla nostra storia, la chiosa migliore restano le parole di Cesare Pavese: «Se un nemico diventa morendo una cosa simile... vuol dire che, anche vinto il nemico, è qualcuno... per questo ogni guerra è una guerra civile. Ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione». Soprattutto se il caduto è Benito Mussolini.
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