Si capisce che Gaetano Cappelli è uno scrittore dentro, perché quando va al ristorante e gli uomini si mettono da un lato del tavolo e le donne dall'altro, lui si siede al confine. Così per lui il genere umano non ha segreti. Inoltre potrà sempre contare su una nicchia di lettori, perché nella «provincia illetterata in cui vive» («Potenza, ma come se fosse Parigi») leggono solo i suoi romanzi. E poi Cappelli, classe 1954, viene fermato per strada, a Napoli, da amiche che lo presentano come «giovane scrittore». E solo gli scrittori dentro restano giovani per sempre. Per questi e altri motivi affibbia al suo romanzo numero 12 o 13 (non se lo ricorda più) un altro titolo wertmulleriano: Romanzo irresistibile della mia vita vera raccontata fin quasi negli ultimi e più straordinari sviluppi (Marsilio, pagg. 240, euro 16). Vita di Giulio Guasso (ma anche excursus in 30 anni di storia italiana), scrittore dentro, che si muove sulla musica di un pianoforte in un Sud a cui solo Cappelli ci ha abituati, finché approda alla mondana Ravello, a un incontro fatale, in un'atmosfera ispirata a Fitzgerald («Scott, non Scotellaro, è il mio scrittore meridionale di riferimento»). È il primo titolo della collana da Cappelli voluta e intitolata «la commedia».
Come si fa ad essere sempre personaggio dei propri libri?
«Vivi situazioni particolari e mentre le vivi pensi a come le userai. In questi anni mi sono sempre più arreso all'evidenza che le storie sono autobiografiche, così anche in questo ultimo romanzo, covato per sei anni, ho giocato con l'autofiction. La mia è una fiction dell'autofiction».
Non sembra una vita normale.
«In certi momenti ti senti così preso dalla rielaborazione romanzesca che rischi di ammalarti della sindrome di Korsakoff. E non sai più se quello che hai scritto è reale o immaginato».
Magris dice che la domanda più difficile che gli abbiano mai fatto è «Che cosa si perde scrivendo?».
«Non si perde niente. Il quotidiano, con la sua ripetitività e i suoi tempi morti, è noioso. Il romanzo, letto e scritto, ti dà più vita. Che ha risposto Magris?».
Che lo scrittore, per scrivere, rischia il distacco dalla realtà.
«Mi sembra un'astrazione. Prima di essere messe nei romanzi, le cose che vivo sedimentano a lungo. Come la faccenda delle quattro pistole che Guasso va a prendere a casa dei terroristi».
È autobiografica?
«Mi successe, negli anni '70. La pistola era una sola. Ero studente fuori sede di filosofia a Roma e uno dei problemi era trovare casa. Ero preso dalla musica, girovagavo con un violino sfasciato tra un appartamento e un altro. E sono capitato a casa di personaggi tosti, altro che Movimento».
Ma che cos'era il Movimento?
«Era la follia. Andavamo - quando ci arrivavamo, perché c'erano sparatorie in tutta la città - a concerti di musicisti americani cosmici, che a un certo punto venivano interrotti dai comunisti. Misero in fuga John McLaughlin, e persino Lou Reed. Erano pazzi. Non capisco come si faccia a rimpiangere gli anni '70».
Veltroni a Radio DJ ha detto che uscivi di casa e c'era come un vento.
«Ma che romanzo hanno prodotto quegli anni? Porci con le ali? E la musica: finita nel 1971. Sono stati la negazione di tutto quello che di bello c'era stato nei '50 e '60».
Non sono concetti nuovi.
«Ma li ho espressi per primo. Anni fa li spiegai a Serena Dandini in tivù e lei rispose: L'ha detto Berselli? L'avrà detto pure lui, ma se leggi i miei libri li trovi da prima».
Ma come mai le donne dei suoi romanzi sono tutte vaporose?
«Perché si ha bisogno di donne belle, ideali. A quelli che dicono che ormai la donna, dopo Berlusconi, deve essere solo bella, rispondo che non mi risulta che nell'Odissea ci fossero racchie protagoniste».
Non sarà un trucco di marketing?
«Il marketing, nella vendita dei libri non c'entra. Il segreto del successo dei romanzi rimane mi-ste-rio-so. Se gli editori avessero la formula per i bestseller, perché mai dovrebbero pubblicare il resto?».
Quindi la formula vincente delle Cinquanta sfumature...
«Dicono che dipende dal mix di romanticismo ed erotismo. Ma gli scaffali delle librerie sono zeppi di quella roba lì. Ma sulla Rete ci sono milioni di porno, sado e maso. Il segreto è una catena imperscrutabile di eventi: una farfalla batte le ali a Tokyo...».
E lei come ha esordito?
«Alla fine degli '80 c'erano tre tipi di scrittori: quelli col pannolone, i critici che pubblicavano perché stavano nel giro, gli sciupatielli avvinghiati ai cenacoli letterari. Sono stato uno dei primi che ha pubblicato perché ho preso il romanzo e l'ho messo in dieci buste, come nei film americani. E il libro ebbe successo. Andai in tv, sui giornali con le foto, ebbi recensioni e spazi pubblicitari. Eppure continuavano ad arrivarmi le lettere di rifiuto degli altri editori. Non si erano accorti che lo avevo già pubblicato.
Ma oggi, non si producono troppi libri?
«E troppe macchine, cd, film. È l'Occidente, bellezza. Se volete le cose tristi e povere, ci sono tante altre zone del mondo».
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